Cinema

Festa del cinema di Roma, Stanley Kubrick raccontato dal suo migliore amico nel documentario di Alex Infascelli

Trent'anni al suo fianco. Come autista, tuttofare, ma soprattutto come amico fraterno. Per Stanley Kubrick il signor Emilio D'Alessandro era questo, e forse anche di più. Una miniera dorata di ricordi che l'uomo, oggi 73enne, ha tenuto nel suo cuore "per rispetto a Stanley" dal momento in cui ci ha lasciati, nel 1999

di Anna Maria Pasetti

Trent’anni al suo fianco. Come autista, tuttofare, ma soprattutto come amico fraterno. Per Stanley Kubrick il signor Emilio D’Alessandro era questo, e forse anche di più. Una miniera dorata di ricordi che l’uomo, oggi 73enne, ha tenuto nel suo cuore “per rispetto a Stanley” dal momento in cui ci ha lasciati nel 1999. L’incredibile storia di Emilio e del suo rapporto col regista più idolatrato di tutti i tempi si è tradotto nel bel documentario S is for Stanley per la regia di Alex Infascelli, una delle piccole perle odierne della 10ma Festa del Cinema di Roma.

“Ho voluto conoscere Emilio dopo aver letto il libro di Filippo Ulivieri Stanley Kubrick e Me: una confessione attraverso la quale esce una relazione d’amicizia straordinaria, e un uomo – Emilio appunto – altrettanto meraviglioso”, spiega il regista romano visibilmente felice di essere alla Festa con Emilio e la di lui consorte inglese Janette. Emilio D’Alessandro, nativo di Cassino, è migrato 18enne in Inghilterra nel 1960 dove ha risieduto oltre 30 anni. Dopo vari lavori occasionali e una possibile carriera da pilota in Formula Ford, è capitato per caso a casa Kubrick per consegnare un pacco su commissione. Da quel momento, Stanley – come Emilio lo chiamava – non l’ha mai lasciato andare, assumendolo a tempo pieno al suo servizio. “Quando Stanley mi ha detto di levarmi abito e cravatta e di vestirmi casual come lui, ho capito potevamo diventare anche amici” ricorda D’Alessandro con emozione.

Piccolo di statura ma dal sorriso contagioso, non teme di rispondere alle domande dei giornalisti, avidi della sua intimità col “genio”. Nel documentario Emilio parla un inglese perfetto: è diventata a tutti gli effetti la sua lingua, avendo lasciato il Belpaese quando si esprimeva per lo più in dialetto. Oggi l’italiano lo parla correttamente, ma alcune parole ancora risuonano nella sua testa in inglese, specie quelle che riguardano le “notes” di Stanley. Il regista, infatti, soleva riproporre la sua ossessiva meticolosità anche nella vita privata, e i compiti quotidiani di Emilio erano puntualmente elencati a mano o dattilografati su pezzi di carta che il suo amico ha fedelmente conservato. Questi costituiscono una parte preziosa di quel tesoro inestimabile rappresentato dalla persona e dalle parole di Emilio stesso. Richieste sempre gentilissime ma di precisione svizzera che suonavano così: “Emilio: per favore dai da mangiare ai gatti e ai cani e non dimenticare di spezzare la medicina per la gatta che sta ancora male”. “Emilio, compra tutte le candele che trova e prenotale in quel negozio per i prossimi tre anni”. Evidentemente, le candele servivano per il set di Barry Lyndon. Stanley gli telefonava a casa più volte al giorno, fino a suscitare l’ira di Janette. Per evitare di intasare la loro linea telefonica, Kubrick decise persino di installare una sua linea privata per parlare direttamente con Emilio. Ma il rapporto non riguardava solo il servizio: il regista si prese cura della famiglia del suo amico italiano quando ebbe problemi, ospitando i suoi figli ancora piccoli nella sua tenuta quando Janette fu ricoverata un periodo in ospedale o pagando le spese per la riabilitazione del figlio maggiore quando ebbe un incidente automobilistico. Emilio vedrà il film per la prima volta stasera, all’Auditorium: “Sono emozionato, certo, ma ho il rammarico non ci sia Stanley qui con me, a condividere la gioia”.

Sono queste parole di una tenerezza infinita, sintomo di un’Amicizia di rara bellezza che permettono all’uomo di continuare a vedere e percepire il regista americano sempre e solo come un suo fratello e mai come il genio che fu. “Ancora non ho visto tutti i suoi film, ho iniziato a vederli dopo svariati anni perchè avendo partecipato alla lavorazione di ciascuno mi sentivo troppo dentro di essi. Avevo bisogno del giusto distacco per apprezzarli. E comunque “what a fucking genius” era Stanley!” esplode Emilio con un sorriso totale. “Il mio film preferito è stato per anni Spartacus ma ora che ho visto Barry Lyndon scelgo quest’ultimo perchè è quello in cui ci sono meno parolacce”. Casa D’Alessandro a Cassino è arredata con gli avanzi dei set kubrickiani: il tavolo e il tappeto del soggiorno sono quelli di Shining, il tavolino antico è quello di Barry Lyndon. “Non si buttava mai via niente dai set, ovvio no?”

Accanto alle testimonianze dell’autista/amico di Kubrick, il secondo giorno della Festa del Cinema di Roma ha presentato i bellissimi The Whispering Star del giapponese Sion Sono e Room dell’irlandese Lenny Abrahamson, quest’ultimo già vincitore del premio del Pubblico al Toronto Film Festival. Tra i più applauditi di giornata anche Lo chiamavano Jeeg Robot dell’esordiente Gabriele Mainetti, con un Claudio Santamaria e un Luca Marinelli in ruoli comicamente “supereroici”.

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