VolkswagenLa frode commessa da Volkswagen con l’installazione dei dispositivi di manipolazione dei sistemi di disinquinamento sul motore diesel è la spia di una discutibile cultura aziendale. Ma rivela anche un fallimento del sistema regolatorio europeo. Pressioni delle lobby e dubbia efficacia dei test.

di Federico Boffa* e Diego Piacentino** (lavoce.info)

Il fallimento della governance di Vw

La frode commessa da Volkswagen con l’installazione di dispositivi di manipolazione dei sistemi di disinquinamento sul motore diesel di sua produzione EA189 Euro 5 rivela un fallimento molto grave non solo della governance aziendale, ma anche del sistema regolatorio europeo.
Del fallimento della governance aziendale ha già scritto Fabiano Schivardi definendolo “incredibile” e foriero, in prospettiva, di conseguenze drammatiche per la gestione della casa automobilistica. Via via che arrivano nuovi dettagli sulla vicenda, si chiarisce che il fallimento è scaturito dall’intenzione di Volkswagen di ottenere, mediante l’installazione del dispositivo, un risparmio dei costi, che secondo talune valutazioni potrebbe essere stato nell’ordine di circa 300 euro a motore. Non poco, se, per esempio, si considera che, nel maggio di quest’anno, VW ha vinto, in Italia, la gara d’appalto per la fornitura di automobili a carabinieri e polizia in virtù dell’offerta di un prezzo unitario inferiore di 83 euro rispetto a quello del principale concorrente, Fca. Emergono anche indicazioni secondo le quali i vertici di VW avrebbero ignorato o represso i dissensi. Allo stesso tempo, cominciano a vedersi le prime conseguenze del fallimento: mentre i vertici aziendali vengono rimaneggiati, le autorità svizzere vietano la vendita delle automobili su cui sia installato il motore EA189, e la stessa Volkswagen dà ai propri concessionari l’indicazione o la disposizione (a seconda dei mercati) di sospenderne le vendite.

Il fallimento delle regole

Ma il fallimento della governance aziendale è stato propiziato da quello del sistema regolatorio, compromesso da battaglie politiche e lobbystiche che hanno portato a soluzioni poco credibili e inefficienti, oltre che macchinose.
Per esempio, nel 2013, una nuova normativa restrittiva delle emissioni di CO2, già approvata dalla Commissione, dal Consiglio e dal parlamento europeo, e posta all’ordine del giorno della riunione del Consiglio europeo del 27-28 giugno, fu accantonata a seguito di pressioni esercitate personalmente dal cancelliere tedesco sullo stesso presidente del consiglio e sul primo ministro britannico. L’accantonamento fu solo temporaneo, ma il risultato è stato il differimento al 2021 del nuovo limite.
Ci sono, però, anche altri aspetti rilevanti. Come hanno notato Federico Pontoni e Antonio Sileo, ci sono differenze significative fra la normativa americana e quella europea: quest’ultima è più restrittiva sugli inquinanti globali (gas di effetto serra), ma lo è di meno su quelli locali – dunque, alla fine, è più accomodante nei confronti dei motori diesel. Il trattamento di favore che l’Europa riserva alla motorizzazione diesel è discutibile sotto il profilo ambientale e verosimilmente legato alle esigenze dei costruttori europei che hanno puntato su questo tipo di motore (si veda il rapporto dell’azienda di componentistica Delphi.Le descrizioni delle procedure di verifica delle emissioni mettono d’altronde in evidenza condizioni di effettuazione delle prove in laboratorio artificiali e molto lontane da quelle di utilizzazione effettiva. Viene anche accettato che le automobili vengano preparate per le prove con accorgimenti volti a ridurne le emissioni (per esempio, distacco dell’alternatore, equipaggiamento con pneumatici speciali, ipergonfiaggio degli pneumatici, speciale lubrificazione, alterazione dell’allineamento delle ruote), e che vengano pienamente sfruttate le tolleranze previste dalla normativa.
In particolare sui dispositivi di manipolazione delle emissioni, è anche emerso che il divieto europeo, deciso nel 2007 (regolamento (Cc) n. 715 del 20 giugno 2007), non era (forse) rispettato appieno, tanto che nel 2013 un rapporto del Joint Research Centre della Commissione europea avvertiva, per altro senza trovare risonanza, dei rischi connessi alla loro installazione.
L’installazione dei dispositivi di manipolazione delle emissioni da parte di Volkswagen è spia di una discutibile cultura aziendale, e sarà interessante vedere come le decisioni interne provvederanno a rimediarvi (il fatto che il nuovo amministratore delegato abbia alle spalle trent’anni di carriera all’interno dell’azienda non sembra, da questo punto di vista, rassicurante).
Tra le reazioni esterne, invece, dovrebbe esservi quella di una cruciale correzione della governance regolatoria europea, che nei suoi metodi attuali appare poco credibile, e forse eccessivamente remissiva nei confronti degli interessi dei costruttori regolati.

*Dopo aver conseguito la laurea in Economics presso l’università di Torino nel 2001, Federico Boffa ha, l’anno seguente, conseguito il Master of Arts in Economics presso la Northwestern University, Evanston, Illinois; nella stessa università, nel 2006, ha conseguito il Ph.D in Economics. Attualmente è professore associato in Applied Economics presso la Libera Università di Bolzano.

**Diego Piacentino ha insegnato scienza delle finanze nelle Università di Urbino, Roma-Sapienza e Macerata. I suoi interessi di studio riguardano l’economia della regolazione e la political economy dell’intervento pubblico.

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