Da Mediaset a Sky a La7, gli mancava solo la RAI. Salvo Sottile è approdato nella TV di Stato la scorsa estate e ora conduce Domenica In a fianco dell’amica Paola Perego. Giornalista e scrittore nato a Palermo 42 anni fa, paragona la vita a una stazione con treni da afferrare e da perdere

Nel tuo ultimo libro Cruel (Mondadori) scrivi che è dedicato alla tua famiglia e al capostazione Sciuto, che poi era tuo nonno materno.
Faceva il capostazione a Cefalù, e mentre i bambini giocavano con i trenini giocattolo, io avevo la fortuna di giocare con i treni veri: stavo nel suo gabbiotto, muovevo gli scambi e vedevo questi treni che passavano, imboccavano le gallerie e sparivano e io pensavo che al di là ci fosse il continente, non avevo ancora capito che tra la Sicilia e il resto dell’Italia ci fosse di mezzo il mare, quindi sognavo di salire su uno di quei treni e andare via.

Già sapevi di voler fare il giornalista?
In realtà da piccolo avevo un rapporto di amore e odio verso questo mestiere perché mio papà Giuseppe era cronista di nera a L’Ora di Palermo e non c’era mai, non mi portava mai a una partita di calcio, a un cinema o a un circo, per cui da un lato il suo lavoro mi affascinava ma dall’altro sapevo che gli impediva di stare con me. Poi ho iniziato a bazzicare piccoli quotidiani e TV private dove ho appreso la passione per la telecamera, e a fare un po’ di tutto, lo speaker, i servizi, la conduzione del telegiornale, e la passione è cresciuta. E ho recuperato in qualche modo anche il rapporto con mio padre attingendo dai suoi pezzi e dalla sua tecnica di scrittura.

Dal conduttore all’inviato, in quale ruolo ti ritrovi di più?
Mi sono sempre trovato bene a raccontare delle storie sia come inviato di cronaca o di guerra, quando sono stato in Afghanistan dopo l’attacco alle Torri Gemelle, che come conduttore dei vari programmi che ho fatto. Il denominatore comune è stata sempre la voglia di condurre il pubblico dentro una storia e fargliela vivere ed è anche lo stimolo che continua a farmi amare questo lavoro.

Quanto devi a Enrico Mentana che nel 1992 ti ha chiamato al TG5?
Mentana è stato un pazzo perché ha dato fiducia a un ragazzino di 18 anni e io gli devo moltissimo perché mi ha dato la possibilità di fare anni di dirette e tutto quello che ho imparato in televisione lo devo a lui. Credo di essere stato il giornalista più giovane in assoluto a trovarsi di fronte alla necessità di raccontare fatti molto più grandi di lui come le stragi di Capaci e di Via D’Amelio. Anche se poi le nostre strade si sono divise, il primo direttore non si dimentica mai, e non dimenticherò mai soprattutto le sue urla.

Cosa invece non dimenticherai mai di quelle tue dirette sulle morti di Falcone e di Borsellino?
Il fatto di essermi trovato a quell’età a raccontare una Palermo che stava cambiando. Dovevo dimostrare di essere più grande della mia età perché il mio ruolo lo richiedeva, ma nello stesso tempo era come se dovessi fare un salto nel futuro perché le morti di Falcone e Borsellino diedero la consapevolezza ai palermitani e alla stessa città che niente sarebbe stato più come prima, quando la mafia sembrava imbattibile. Invece quelle morti diventarono un boomerang per la mafia stessa e un’occasione di riscatto per i palermitani ed è stata la cosa che ho percepito di più. Vedere la gente che scavalcava le transenne alla cattedrale per partecipare ai funerali dei due giudici fu qualcosa di insolito che non dimenticherò mai, e anch’io mi sentivo parte di loro.

Ora che è evidente che mafia è anche al nord e a Roma, credi che la Sicilia si sia scrollata di dosso lo stereotipo di terra di mafia?
Credo che i siciliani oggi siano più consapevoli e abbiano più voglia, soprattutto i giovani, di rimanere nella propria terra e combattere per la legalità. E la mafia è tornata quella di un tempo, ha capito che le bombe e le pistole non portano mai nulla di buono e lo scruscio, come lo chiamiamo in Sicilia, cioè il rumore alla fine attira solo guai, attenzione e controlli. Non esiste più una mafia feroce come quella dei Corleonesi che ho conosciuto negli anni Novanta, la mafia di oggi preferisce rimanere nel sottobosco e non farsi sentire troppo.

E mafia capitale?
Quella è una mafia che opera in maniera più strutturata attraverso i palazzi della politica, questi mafiosi li vedi nei video che parlano nei bar e si mettono d’accordo su come smaltirsi gli appalti, la differenza quindi è sostanziale.

Alla parentesi di Sky TG24 nel 2003 devi invece l’incontro con tua moglie Sarah Varetto, oggi direttore di SkyTg24.
All’epoca curava una rubrica di economia all’interno del mio programma del mattino, abbiamo iniziato a frequentarci e abbiamo continuato anche dopo che me ne sono andato e alla fine abbiamo fatto una famiglia con due figli, un maschietto che ora ha 10 anni e una femminuccia che ne ha 7.

Che tipo di papà sei?
Cerco di essere un papà di qualità perché sia io che Sarah lavoriamo tanto ma loro sono sempre il nostro pensiero principale e quando entriamo in casa sappiamo che i nostri figli hanno la priorità su tutto. Così anche se arrivo tardi la sera cerco di studiare con loro, ascoltarli e parlarci, e accompagnarli a scuola la mattina.

Tornando a Cruel, tu scrivi che “la vita è tutta una questione di treni afferrati e persi”, tu sicuramente hai afferrato quello della Rai.
A La7 ho aspettato per un anno di fare un programma senza riuscirci e Mediaset mi aveva proposto di fare l’inviato a L’Isola dei famosi, così quando quest’estate è arrivata l’occasione di entrare per la prima volta in Rai e rimettermi in discussione, non ho avuto dubbi. È stato anche un modo di sperimentare linguaggi nuovi e di condurre un programma, dopo tanti di cronaca, in cui ci fosse anche la possibilità di sorridere e questo mi divertiva. Poi è arrivata la proposta di Domenica In dove ci sono un capo progetto che è Maurizio Costanzo, un maestro della televisione, e un’amica come Paola Perego con la quale c’è una sintonia professionale assoluta, ed eccomi qua.

Non era così con Eleonora Daniele a Estate in diretta?
È brutto fare delle differenze, con Eleonora mi sono trovato bene perché è una brava professionista, ma con Paola c’è un rapporto diverso. Eleonora è una donna cyborg, nel senso che non si riposa mai, Paola è molto generosa.

Peraltro è stato Lucio Presta, marito di Paola Perego, a portarti in Rai
Non è proprio così. Nel momento in cui ho avuto un abboccamento per Rai1 mi sono rivolto a Lucio, con il quale siamo amici da tanto tempo, per avere una guida. Io non avevo mai avuto un manager e avevo bisogno di qualcuno che potesse darmi dei consigli e in questo è il numero uno in assoluto, per cui mi sono affidato a lui.

E i treni che hai perso?
Sicuramente tanti. È difficile indovinare il momento giusto per salire su un treno, dipende dall’istinto. Io ho imparato con l’esperienza a essere più riflessivo e certamente tanti treni li ho persi per essere invece molto istintivo. Ora però conto fino a 10 prima di prendere qualsiasi decisione.

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