Ora che ha finito di scannarsi su Ignazio Marino, il Pd può cominciare a litigare sulle primarie per le amministrative a Roma di maggio. Matteo Renzi, dicono i giornali, nella furia per il pressing per portare il sindaco alle dimissioni avrebbe espresso il desiderio di saltare la consultazione popolare per scegliere il candidato al Campidoglio. Retroscena puntualmente smentito da non meglio precisate fonti del Pd che hanno definito queste ricostruzioni “prive di fondamento”. Eppure c’è il sindaco di Firenze Dario Nardella – attivissimo in queste ore nel commento delle vicende romane – che prevede un dibattito nel partito “molto aperto”. Chi accelera, viceversa, è Roberto Speranza, ex capogruppo del Pd alla Camera, esponente della minoranza, bersaniano. “A Roma si è consumata una profonda rottura tra città e Pd. Le primarie saranno per me inevitabili per provare a ricostruire. Non possono bastare decisioni calate dall’alto. E’ indispensabile ripartire dalla nostra gente”.

La sinistra democratica è in fibrillazione. Anche perchè l’idea di mettere mano alle primarie per i sindaci non è una novità ed è stata accennata da Renzi in diverse occasioni. “Anche nell’ultima Direzione del Pd” dice Alfredo D’Attorre all’Adnkronos. “Ma un conto è rivedere le regole delle primarie, il meccanismo” e la minoranza spinge per un maggiore peso degli iscritti; “altro conto è decidere i candidati a sindaco nelle stanze di palazzo Chigi… Se lo tolga dalla testa”. Ma che questa possa essere l’intenzione dei vertici Pd è più che un sospetto nella minoranza. “Si inserirebbe in uno schema di decisioni dall’alto che ormai caratterizza diversi provvedimenti renziani. Ma non è riducendo gli spazi di democrazia che riporti la gente a darti fiducia. Questo vale per Roma ma anche per le altre città al voto in primavera. Piuttosto consiglierei a Renzi e Orfini – dice D’Attorre – di riflettere sugli errori evidenti di gestione fatti in questa vicenda romana e ridare la parola agli iscritti sia per scegliere la guida del Pd romano sia per il candidato sindaco”. Un altro dirigente che preferisce non apparire è ancora più esplicito. “Avevamo concordato di revisionare il meccanismo delle primarie, ma non avevamo concordato che Renzi diventasse l’imperatore del Pd. A Roma decide lui? A Roma ha sbagliato tutto, dal commissariamento in giù, per cui non si atteggi a Mister Wolf della politica. Le primarie sono l’unica via d’uscita”.

La questione primarie, in realtà, doveva essere al centro di un tavolo creato ormai da mesi. Dai tempi in cui la parte bersaniana del Pd chiedeva una conferenza di organizzazione sul partito. La richiesta sfociò nella nascita di una commissione, concordata in una riunione della direzione del Pd, composta da una ventina di membri di varie anime del partito. Tra questi Matteo Orfini con il vicesegretario Lorenzo Guerini, il bersaniano Nico Stumpo, il veltroniano Salvatore Vassallo, Fabrizio Barca, la prodiana Sandra Zampa, Giorgio Tonini e altri. Quella commissione si è riunita diverse volte ma ora che si è arrivati in procinto di amministrative del calibro di Milano, Napoli e probabilmente Roma, e a ridosso di un’assemblea nazionale (forse a fine anno) per rivedere lo Statuto Pd, i lavori si sono fermati. 

Eppure non tutti, anche nella minoranza, la vedono così. “Ci sono delle situazioni straordinarie – dice Davide Zoggia sempre all’Adnkronos – che richiedono scelte straordinarie. Non è detto che i problemi della politica, li risolvano gli elettori con le primarie. Anzi… E a Roma per quello che è accaduto rischiamo di avere primarie tutt’altro che salutari ma una resa dei conti, una guerra tra bande”.

E per salvare le primarie arriva anche l’appello del loro inventore, anche se ormai fuori dalla politica, Arturo Parisi: “Senza le primarie tutto il percorso politico” di Matteo Renzi “sarebbe stato impensabile”, dice. Non si torni indietro, dunque, “anche se sono ancora troppi quelli che vorrebbero farlo”. Secondo Parisi, intervistato dall’Adnkronos, le primarie “non si sono ancora affermate del tutto” anche perché sono passati solo 11 anni “da quando riuscimmo per la prima volta a strapparle dalle mani degli allora capipartito del centrosinistra”. E il fatto che alcune consultazioni abbiano finito per fare un danno al Pd e promuovere candidati non vincenti non è una giustificazione, sostiene Parisi: “Perché quelli scelti in segreto da decisori segreti sono stati sempre efficaci? E la selezione dei candidati da parte dei cittadini, non è forse politica? O la politica è solo quel che fanno i politici di professione?”.

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