Il sindaco di Roma Ignazio Marino si è dimesso da sindaco di Roma. L’ultimo, ennesimo pasticcio – quello sugli scontrini e le cene, con le smentite di Sant’Egidio e ristoratori – gli è stato fatale. Pd e Sel, cioè i partiti che lo sostengono al Campidoglio, gli avevano dato una sorta di ultimatum: il primo cittadino avrebbe dovuto farsi da parte oppure avrebbero deciso di sfiduciarlo nell’Assemblea capitolina, il consiglio comunale di Roma. Uno stillicidio proseguito poi con una riunione di giunta in cui Marino era apparso praticamente solo, con le dimissioni rassegnate da tre assessori nominati in estate, come ultimo tentativo del Pd per raddrizzare una storia diventata sempre più storta, giorno dopo giorno, lontano anni-luce da quel giugno 2013 in cui il “sindaco marziano” era stato eletto. Anche dopo quello che sembra il sipario finale della vicenda, tuttavia, Marino ha stupito: “Voglio una verifica – è stata la sua prima dichiarazione in una lettera ai romani – Ho 20 giorni per ritirare le mie dimissioni” (il testo integrale). “Non è un’astuzia la mia – precisa – E’ la ricerca di una verifica seria, se è ancora possibile ricostruire queste condizioni politiche”.

Marino: “Contro il mio impegno una furiosa reazione per sovvertire il voto”
Marino si rivolge ai romani spiegato che la riflessione e la successiva decisione è stata presa “avendo come unica stella polare l’interesse della Capitale d’Italia, della mia città”. Il sindaco uscente tuttavia aggiunge di “nutrire un serio timore che tornino a governare le logiche del passato, quelle della speculazione, degli illeciti interessi privati, del consociativismo e del meccanismo corruttivo-mafioso che ha toccato anche parti del Pd e che senza di me avrebbe travolto non solo l’intero partito e il Campidoglio”. Dice Marino che il suo impegno per la città “ha suscitato una furiosa reazione. Dall’inizio c’è stato un lavorio rumoroso nel tentativo di sovvertire il voto democratico. Questo ha avuto spettatori poco attenti anche tra chi questa esperienza avrebbe dovuto sostenerla. Oggi quest’aggressione è al culmine. Ho intenzione di battere l’attacco”.

La risposta del Pd al sindaco dice molto, quasi tutto: esprime apprezzamento per il “gesto di responsabilità”, “è una scelta giusta che dimostra la sua volontà di mettere al primo posto l’interesse della città”. L’unica a schierarsi al fianco del sindaco, è l’assessore al Patrimonio Alessandra Cattoi, da sempre vicinissima a Marino, coordinatrice del suo comitato elettorale. “La nostra esperienza di governo che avrebbe portato Roma a un cambiamento vero e radicale – dice – viene interrotta così bruscamente per logiche che non riesco a capire fino in fondo e che non hanno una giustificazione plausibile”.

Il commissariamento, l’ipotesi Gabrielli, il voto a maggio
Comunque sia Roma, la capitale d’Italia, dopo la tempesta giudiziaria che si è abbattuta sul Campidoglio con Mafia Capitale e a due mesi esatti dal Giubileo di Papa Francesco, si ritrova senza una guida politica, nonostante il contesto fosse già molto delicato e complicato. Da settimane la guida di Marino era indebolita, appesa a un filo, a causa delle sue “figuracce”, a metà tra gaffe, errori, bugie e versioni controverse, dalla Panda rossa fino ai continui viaggi lontano dalla Capitale. Ma a dare un ultimo colpo di campanella anche la relazione del prefetto di Roma Franco Gabrielli su Mafia Capitale e il trasferimento proprio all’ex capo della Protezione civile delle deleghe per l’Anno santo. L’ultimo capitombolo sul viaggio a Filadelfia per seguire proprio il pontefice che ha fatto irritare lo stesso Bergoglio: “Non l’ho invitato io”. Ma la caduta è stata provocata, per paradosso, per alcune ricevute di cene del sindaco, con altre smentite della Comunità di Sant’Egidio e addirittura un ristoratore.

Ora il futuro è un commissariamento che durerà fino a maggio, permettendo così di far entrare il nuovo voto amministrativo nella stessa finestra elettorale di altre grandi città come Milano e Napoli. Il futuro si potrebbe chiamare proprio Franco Gabrielli, ma l’ipotesi, che non è esclusa dalla legge, non ha precedenti in Italia e da fonti della prefettura viene ritenuta “impossibile”. Gli altri nomi che girano sono quelli del prefetto Vito Rizzi, del vicecapo della polizia Alessandro Marangoni e del prefetto Mario Morcone, già candidato alle primarie del Pd a Napoli (e perdente).

La riunione in giunta: “E’ tutto finito”. E lui barricato in Campidoglio
Il Partito democratico in verità aveva deciso di lasciare solo Marino già dalla notte tra mercoledì e giovedì, con continui contatti tra il segretario Matteo Renzi e il commissario di Roma (e presidente nazionale) Matteo Orfini. E’ iniziato a crollare tutto quando durante la giunta hanno annunciato le proprie dimissioni il vicesindaco Marco Causi, l’assessore ai Trasporti Stefano Esposito e quello al Turismo Luigina Di Liegro. Quella del mandato di Marino è una “fine inevitabile” l’aveva definita Esposito. Lui, con Causi, Di Liegro e Marco Rossi Doria, erano gli ultimi innesti nella giunta del Campidoglio, tutti di area renziana. Ma Marino, ancora una volta, ha detto di non avere intenzione di mollare, di voler resistere. Ha proposto un nuovo rimpasto, il quarto in due anni. E’ finita insomma con l’immagine di un “giapponese”, barricato in Campidoglio, nonostante altri assessori si fossero detti pronti ad andarsene. Solo due sono rimasti al fianco del sindaco “fino all’estremo”: l’assessore all’Ambiente Estella Marino, la più votata del Pd in consiglio, e l’assessore al Patrimonio Cattoi.

La riunione di giunta, durata poco più di due ore, è stata descritta ai limiti del drammatico con il sindaco che ha invitato a partecipare anche i consiglieri di maggioranza e i presidenti dei municipi (tutti di centrosinistra) anche per fare una conta, per capire chi non sta più al gioco e chi invece gli è ormai contrario. L’esito è stato quasi scontato: Marino ha capito di essere solo e forse di trascinare giù anche il resto della sua squadra. All’uscita da Palazzo Senatorio diversi assessori, tra cui il dimissionario Esposito, Alfonso Sabella, Estella Marino, Giovanna Marinelli sono stati accolti da cori di protesta come “Dimissioni”, “Vergogna”. Sabella e Causi, dopo un vertice con Orfini (che ha incontrato anche il presidente di Sel Paolo Cento e i consiglieri del Pd) sono rientrati per dire al sindaco: “E’ finita, dimettiti”.

Opposizioni in festa. M5s: “Metteteci alla prova”. Salvini: “Faremo ripartire Roma”
Le opposizioni fanno festa sotto il Campidoglio. La piazza “festeggia” l’addio del sindaco-chirurgo urlando slogan quali “Tutti a casa olè”, “Roma libera”, “Marino torna in Liguria”, “Marino pagace la cena”. In piazza erano presenti ancora i sostenitori di Marino. E non sono mancati battibecchi tra le due “fazioni”. In ogni caso la campagna elettorale è già cominciata. “Sapremo – dice Luigi Di Maio, membro del direttorio del Movimento Cinque Stelle – se il Comune è libero solo dopo l’esito delle prossime elezioni comunali. Sperando ci siano il prima possibile. Abbiamo un miliardo di euro da investire in servizi al cittadino. Il nostro presidente della commissione sulla revisione della spesa ha trovato un miliardo di euro di sprechi e privilegi che ogni anno il Comune di Roma spende inutilmente. Abbiamo un miliardo di euro di spese inutili da tagliare e investire finalmente in trasporti, scuole, strade, servizi sociali e tanto altro. Metteteci alla prova!”. Esulta anche la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: “Finalmente Marino va a casa ma la Capitale d’Italia non può permettersi di essere ulteriormente sacrificata sull’altare dei calcoli elettorali di Renzi: siano i cittadini a scegliere da chi essere guidare, a Roma come al governo della Nazione”. Tutti si dicono pronti a governare la Capitale: “Ora la Lega Nord è pronta per far ripartire Roma”.

Contestatori in piazza: “Via il peggior sindaco della storia”
Per tutto il giorno in piazza del Campidoglio decine di persone hanno atteso la notizia delle dimissioni. Da una parte i contestatori che gridavano “Marino vattene a casa”. Dall’altra chi invitava a “resistere”. Con tanto di scontri verbali. In piazza, per urlare al sindaco di “andare a casa”, c’erano tutte le forze d’opposizione: da Ncd al M5s, da CasaPound alla lista Marchini, da Forza Italia alla Lega Nord. Tra gli altri Marco Pomarici, consigliere comunale di Noi con Salvini, ed ex presidente dell’Assemblea capitolina, ma anche l’ex vicesindaco della giunta Alemanno Sveva Belviso (Altra destra), fino al vicepresidente di Casapound Simone Di Stefano. Sotto il Campidoglio è arrivata anche una figura di cartone con l’immagine del sindaco di Roma e la scritta “Bye bye Marino #gameover”, una protesta organizzata dal Nuovo Centrodestra. “E’ stato – dicono gli alfaniani – il peggior sindaco della storia”.

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