“Scrivo ovunque perché non ho mai avuto il privilegio di poter dire che ho bisogno di quel tavolo per scrivere, di quelle veduta fuori dalla finestra, di quel vaso di fiori. Devo lavorare ovunque mi trovi. Lavoro ovunque”. Il giallista svedese Henning Mankell, morto la scorsa notte a 67 anni nell’ospedale di Goteborg per un cancro, spiegava il suo ininterrotto modus operandi al Guardian non più di tre anni fa. Arrivato a Londra di mattino presto, con un volo low cost, in quei pochi minuti di anticipo che era riuscito a ritagliarsi tra l’arrivo in hotel e l’inizio dell’intervista, si era messo a scrivere “almeno 45 minuti di libro”. La sua saga gialla con protagonista Kurt Wallander, commissario o ispettore a seconda delle quaranta versioni in cui è stato tradotto nel mondo, ha iniziato ad affermarsi improvvisamente con Assassino senza volto nel 1991 (in Italia pubblicato da Marsilio nel 2001).

Poi in un decennio ecco otto capitoli, più un prequel, e ancora un ritorno nel 2009 per il personaggio di Wallander che portò lo svedese di Stoccolma Mankell a vendere quaranta milioni di copie. Davanti a lui in quell’area estesa e di successo del “giallo svedese” solo Stieg Larsson. Dietro il mondo intero. Che Mankell di certo non dimentica. Come non si lascia abbindolare dal cosiddetto successo commerciale. Si sente, anzi è, un autore politico vecchia maniera. Un progressista sessantottino che guarda alla tragedia delle guerre (il Vietnam), si dedica in prima persona ai drammi dei paesi africani (il razzismo in Sud Africa), e ancora a quello che definì un altro apartheid, quello d’Israele contro i palestinesi, intervenendo più col suo corpo che con la sua penna o tastiera.

Nel giugno del 2010 a bordo della nave svedese Sofia carica di aiuti con direzione Gaza venne arrestato dai militari israeliani. Un’operazione spettacolare modello Delta Force. Mankell quasi se la rise, con grinta e coraggio, prima accusò i soldati israeliani di omicidio e sequestro di persona poi spiegò: “Credo fortemente nella solidarietà come strumento per cambiare il mondo, e credo nel dialogo; ma è l’azione che dimostra la parola”. Lui che in giovane età aveva perfino fatto il marinaio sulle navi mercantili, metteva a repentaglio la vita, e la carriera, per una causa etica. Tra l’altro la sua creatura Wallander, il poliziotto che investiga morti ammazzati ed assassini nella città di Ystad nel Sud della Svezia, ha sempre tentato di ristabilire un ordine morale tra buoni e cattivi, tra oppressi e oppressori, che non c’era, concedendosi perfino un pizzico di incoscienza nelle sue indagini.

Papà giudice e una nonna che gli insegnò a leggere e scrivere, la scuola abbandonata a 16 anni, Mankell fu uno di quei discoli imprudenti che cercò prima di tutto di capire il suo posto nel mondo.  A nemmeno 18 anni viaggiò fino in Africa, si guardò attorno, vide che esisteva un mondo differente “dall’egocentricità europea”. Poi ancora il ritorno a casa, la fondazione di una compagnia teatrale che lavorò per diversi anni su suolo svedese, la relazione e poi il matrimonio con Eva Bergman nipote del regista Ingmar, fino a quando irrompono le gesta di Wallander. Mankell vince la lotteria delle vendite, ma presto – nel 1999 – si stanca. Si impegna ancora una volta a vivere la quotidianità sui fronti caldi del pianeta. Dirige il teatro Avenida a Maputo in Mozambico, fonda una casa editrice per lanciare i romanzi di autori africani, asiatici, e del Medio Oriente: “Imparo di più circa la condizione umana vivendo con un piede nella neve e uno nella sabbia. Il mondo occidentale ha perso la capacità di porre domande, siamo diventati un continente di chiacchieroni. Non ascoltiamo più le persone. Verremo puniti per questo in futuro”.

Intanto il suo Wallander diventa una serie tv svedese, poi inglese con Kenneth Branagh protagonista. Mankell allora se ne ritorna in scena e fa pubblicare L’uomo inquieto (2009, edizione Marsilio nel 2010) dove il suo commissario si ammala di Alzheimer. Cala il sipario su un mito letterario, anche se si sa che esiste una nipote di nome Linda, poliziotta anch’essa che potrebbe far rinascere la serie. “Spiegai al mio editore che c’erano altre cose che avrei voluto fare prima che il mio tempo sulla terra finisse. Wallander non mi mancherà”. Ecco allora un nuovo romanzo A Treacherous Paradise, storia di una donna svedese in fuga che diventò proprietaria di un bordello nell’Africa Orientale Portoghese e che imparò a convivere con le donne africane. Poi, infine, la diagnosi del cancro. Metastasi in ogni parte del corpo. “La mia ansia è profonda, ma riesco a tenerla sotto controllo – spiegò circa un anno fa sui giornali dopo la diagnosi – Quasi subito ho deciso di provare a scrivere. Ho deciso di scrivere le cose così come stanno. Ma lo farò dal punto di vista della vita, non della morte”.

Lo potrete leggere a breve in Italia, proprio in quest’ultima traccia che Marsilio pubblicherà a giorni: Sabbie mobili. “E’ un libro che raccoglie la sua profonda visione della vita e della morte, nato nei lunghi mesi della sua malattia”, ha scritto in un comunicato la casa editrice veneziana che ha pubblicato tutti i suoi libri gialli. “Il testamento di uno scrittore seguito da oltre quaranta milioni di lettori che ha vissuto con coerenza, lavorando con passione e impegno in difesa dei poveri del mondo, fino alla fine”.

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