Renzi non è Berlusconi, “non è percepito come una minaccia alla democrazia” neppure su provvedimenti come la legge sulle intercettazioni o la riforma del Senato, che dieci anni fa avrebbero portato migliaia di persone in piazza. Magari con la benedizione di intellettuali e gente di spettacolo, che invece oggi “dipendono dal Pd e dalla politica per finanziamenti, approvazione di progetti, incarichi”. Avvinghiati in una rete di “clientelismo”, il grande ostacolo al cambiamento in Italia. Lo storico Paul Ginsborg è un padre nobile dei Girotondi, il movimento che nel 2002 accese la scintilla dell’opposizione al berlusconismo, dando la scossa a una sinistra frastornata e sconfitta. In centinaia di migliaia scesero in piazza contro le leggi ad personam, contro la Rai di regime, a difesa della magistratura. Oggi, il nulla. Anche le partite più controverse si giocano tutte dentro il Palazzo, in quello che sembra un generale torpore dell’opinione pubblica.

Professor Ginsborg, a che cosa è dovuto questo “sonno”?
Attenzione, la storia dei movimenti insegna che anche in una situazione che pare pacificata le cose possono cambiare rapidamente. Oggi il clima è simile a quello che precedette l’esplosione dei Girotondi nel 2002. Ci si lamentava, si diceva che nessuno poteva fare nulla. Poi, improvvisamente, le piazze si riempirono. Chi ci dice che non accada di nuovo, fra qualche mese?

Rispetto a Renzi, però, Berlusconi divideva più nettamente l’opinione pubblica.
L’opinione pubblica è lenta nel cogliere gli atti lesivi della democrazia, come appunto la legge bavaglio o certe riforme istituzionali. Berlusconi era immediatamente percepito come una minaccia, Renzi è più ambiguo e gode di consenso a sinistra, cioè l’area in cui nacquero i Girotondi. Se poi riuscirà ad agganciare la ripresa economica trainata dagli Usa, la gente avrà qualche soldo in più, potrà andare di nuovo in vacanza, e legherà questi miglioramenti al presidente del Consiglio.

Gli intellettuali non dovrebbero essere più pronti a cogliere certi segnali? Perché oggi non c’è un Nanni Moretti che grida la sua indignazione in piazza?
Gli intellettuali che si schierarono all’epoca furono comunque pochi, Moretti fu l’eccezione più che la regola, come prima di lui Pasolini. Molti sono dipendenti dal Pd – più che da Berlusconi a suo tempo – e in generale dipendono dalla politica per i loro progetti e le loro carriere. Così diventano servi volenterosi e l’autonomia intellettuale viene cancellata dal clientelismo. Renzi si trova quindi al centro di un sistema di favori. Questo blocca davvero il cambiamento nel Paese. Quando 23 anni fa arrivai all’Università di Firenze, certi colleghi mi chiedevano: ‘Tu chi porti al concorso?’. All’inizio non capivo neanche che cosa volessero dire.

Dunque torniamo alla piazza. Lei vede qualche soggetto che potrebbe diventare un nuovo movimento “per la democrazia”, come recitava il “sottotitolo” dei Girotondi?
La mia generazione, quella del ‘68, sta uscendo di scena e deve per forza di cose farsi da parte. È stata l’ossatura di molti movimenti degli ultimi decenni. Ora mi domando se quelli che erano giovani negli anni Ottanta, molto influenzati dal neoliberismo e dal thatcherismo, possano prendere il nostro posto. Confesso che sono scettico. Vedo però delle esperienze interessanti in Europa.

Quali?
Podemos in Spagna, Tsipras in Grecia. E Corbyn in Gran Bretagna, in modo del tutto inaspettato: il Labour era a terra, i giovani si sono riconosciuti nell’antiliberismo e dopo la sua vittoria come leader del partito, pochi giorni fa, 15mila persone hanno fatto la tessera. In Italia, invece, non si muove nulla.

In Italia il Movimento 5 Stelle ha portato in Parlamento molti temi “girotondini”. Non la convince?
I 5Stelle sono all’avanguardia su alcuni temi, come la legge bavaglio. La debolezza sta nella figura di Grillo leader non eletto, nella selezione discutibile dei candidati, nel personalismo. Più in generale, nella politica italiana ci sono troppi partitini che non crescono mai e non muoiono mai, troppe gerarchie inamovibili, troppo narcisismo. Come possono attrarre le persone?

Che fine ha fatto, dieci anni dopo, il “ceto medio riflessivo” che lei indicò come anima dei Girotondi?
Il ceto medio è sempre stato per la maggior parte non riflessivo, capace di lamentarsi la mattina al bar che tutto va male e di evadere le tasse prima di pranzo. Quello a cui mi riferivo allora, oggi è sconsolato e in preda al cinismo: ‘Ci abbiamo provato e abbiamo fallito’. Io dico che si è scoraggiato troppo presto, certe battaglie sono lunghe. Quando però vedo gli austriaci che partono con colonne di macchine per andare a raccogliere i profughi sulle strade dell’Ungheria, penso che il ceto medio riflessivo oggi sia quello.

Da il Fatto quotidiano del 27 settembre 2015

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