Un registro informatico con nomi e cognomi di 27mila italiani che tra 2006 e 2014 hanno esportato a San Marino oltre 22 miliardi di euro. E oltre 20mila di loro, stando ai primi accertamenti su dati bancari e dichiarazioni dei redditi, sono evasori: non hanno mai dichiarato al fisco italiano i soldi portati nella piccola repubblica del monte Titano. Sono i risultati di una imponente operazione di schedatura realizzata da Guardia di Finanza e Procura di Forlì, di cui dà conto il settimanale L’Espresso. Sui 27mila contribuenti più o meno fedeli (tre volte quelli che compaiono nella famosa lista Falciani) è ora in corso un’indagine battezzata Torre d’avorio che mira a capire quanta parte del denaro custodito nelle banche sanmarinesi sia frutto di evasione o di altri reati, dalla bancarotta fraudolenta al riciclaggio di denaro sporco.

Su alcuni il sospetto degli inquirenti è che si tratti di tesorieri di organizzazioni criminali, altri sono imprenditori il cui nome è legato a fallimenti e crac aziendali di varia portata. Dei 26.953 soggetti, 2.500 sono società intestate a cittadini della Penisola. Ma ci sono anche professionisti, commercianti e alcuni banchieri. Il quadro che emerge, sottolinea L’Espresso, è quello di un’evasione di massa di migliaia di piccoli soggetti. Due terzi dei quali residenti nelle regioni confinanti, Emilia Romagna e Marche. Per loro l’ultima possibilità di chiudere i conti con l’erario è aderire alla voluntary disclosure, l’operazione di rientro dei capitali dall’estero che avrebbe dovuto chiudersi il 30 settembre ma il governo Renzi intende prorogare di almeno due mesi.

Tra gli altri, per esempio, l’ex presidente della Cassa di risparmio di Cesena Germano Lucchi, accusato secondo il settimanale di aver nascosto a San Marino 5,2 milioni di euro su conti schermati da fiduciarie, i fratelli Vannis e Marco Marchi, titolari di Liu Jo (9 milioni), e l’uomo d’affari di Forlì Alessandro Alberani, sentito come testimone nell’inchiesta sulla cosiddetta P3 e sospettato di aver portato sotto il Titano 20 milioni. La somma più alta compare però accanto al nome di Alberto Bruscoli, titolare del mobilificio marchigiano Imab group, che attraverso una prestanome aveva accumulato a San Marino 69 milioni. Poi ci sono Pierino Isoldi, costruttore fallito – e ora ai domiciliari per aver procurato un aborto alla ex compagna – a cui le Fiamme Gialle contestano in tutto 15,5 milioni portati oltre confine, Italo Spagna, ex titolare della galleria d’arte Marescalchi di Bologna, a cui viene attribuito un conto da 2,3 milioni nelle banche sanmarinesi, e il veneto Ettore Setten, ex patron del Treviso calcio, anche lui finito in bancarotta, che avrebbe nascosto 5,5 milioni.

Su alcuni degli indagati, scrive il settimanale, le verifiche fiscali sono già state chiuse. In alcuni casi hanno ammesso gli addebiti e versato il dovuto al fisco, in altri hanno contestato le accuse. Questa, peraltro, è solo la fase uno dell’inchiesta condotta dal procuratore capo Sergio Sottani: la due riguarderà altri 11 miliardi di euro che, al contrario, sono stati accreditati in Italia da 29mila soggetti di San Marino e 953 di altri Paesi.

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