Incerto e tortuoso il destino della legge sulle intercettazioni con il serio rischio che il bavaglio ai giornalisti, agognato ma mai realizzato da Silvio Berlusconi e dai suoi, nei prossimi mesi diventi realtà con il governo Renzi. Per ora l’unica certezza è che l’esecutivo avrà carta bianca in materia, con il Parlamento sempre più figlio di un Dio minore. Stamattina, prima del voto definitivo a Montecitorio, previsto alle 11, si riunirà il comitato dei 9 per sciogliere un nodo posto dalla presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti (Pd) sui limiti dell’udienza filtro durante la quale, alla presenza di tutte le parti coinvolte, davanti a un giudice, devono essere stralciate e messe in una cassaforte le intercettazioni ritenute penalmente “irrilevanti”. Ciò, con buona pace del diritto di cronaca perché potrebbero essere tenute segrete intercettazioni politicamente rilevanti e quindi importanti per la conoscenza dei cittadini che devono valutare l’operato dei personaggi pubblici.

Ecco, l’udienza filtro, è il ragionamento, non può essere utilizzata prima di un provvedimento restrittivo cautelare, come un arresto, una perquisizione o un sequestro di beni. Il motivo è ovvio: non si può avvertire l’indagato, sarebbe favoreggiamento. Dunque, nella delega all’esecutivo si darà indicazione che l’udienza filtro non può esserci in qualsiasi momento del procedimento. Finora il testo, nebuloso, della delega, prevede che il governo determini “prescrizioni che incidano sulle modalità di utilizzazione cautelare” delle intercettazioni e che “diano precisa scansione all’udienza di selezione del materiale intercettato” per tutelare “la riservatezza di persone occasionalmente coinvolte”. Insomma, si puntava tutto sull’udienza filtro. Ora, invece, si ammette che “l’udienza di selezione” non è sempre possibile. Ma su come il governo, con l’assenso trasversale delle forze politiche in Parlamento, raggiungerà l’obiettivo di nascondere registrazioni politicamente imbarazzanti perché penalmente irrilevanti, non si può sapere ancora, essendoci solo una delega vaga. Come si riempirà il contenuto dei limiti per i giornalisti con la motivazione di conciliare il diritto di cronaca con il diritto alla privacy, per ora resta una domanda aperta.

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che avrà il cerino in mano, istituirà una commissione di cui faranno parte, ha assicurato, personalità “autorevoli”, al di sopra di ogni sospetto. Dicono dal ministero che vuole scegliere persone capaci di tranquillizzare i magistrati, preoccupati che dietro la delega in bianco si nasconda l’intenzione di ridimensionare uno strumento investigativo vitale come le intercettazioni, e i giornalisti preoccupati di essere imbavagliati.

Il Guardasigilli non ha ancora fatto alcuna telefonata, alcuna proposta concreta, assicurano le stesse fonti ministeriali, perché vuole aspettare almeno il voto di oggi. Della commissione, si sa, faranno parte magistrati e il pensiero va al procuratore di Roma Giuseppe Pignatone. Anche personalità come Stefano Rodotà, che piacciono ai “gufi”, sarebbero nella testa del ministro.

Il procuratore Pignatone, così come quello di Milano Edmondo Bruti Liberati, nei mesi scorsi avevano fatto una proposta che riguarda i giornalisti: conferenza stampa dei procuratori con distribuzione di un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip, su richiesta del pm, che assicurerebbe, aveva detto Bruti, “parità di trattamento” per tutte le testate giornalistiche, ma divieto assoluto di pubblicare gli altri atti di indagine, come le informative della polizia giudiziaria, sempre preziose per capire non solo le accuse ma anche i contesti, fino all’udienza preliminare, quindi anche per uno o due anni. E se i cronisti violano il divieto? Nell’audizione in Parlamento i procuratori avevano escluso il carcere ma ipotizzavano sanzioni pesanti.

Tornando al testo che sarà votato oggi, Ferranti ha escluso sorprese rispetto al famigerato emendamento firmato da Pagano dell’Ncd che prevede dai 6 mesi ai 4 anni di carcere per “chiunque diffonda, al fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui, riprese o registrazioni di conversazioni svolte in sua presenza e fraudolentemente effettuate”. Leggi, trasmissioni d’inchiesta come Le Iene. Un emendamento a firma del responsabile giustizia del Pd, David Ermini, prevede che siano salve “le registrazioni ai fini di diritto di cronaca e uso processuale”. Ma poiché il testo di Pagano resta, il pericolo è che rappresenti un deterrente per i cittadini onesti, dato che non sempre una registrazione fa aprire un procedimento penale.

In discussione oggi anche una norma controversa per alcuni magistrati e che riguarda i termini perentori per la richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione da parte di un pm: dai 3 ai 12 mesi, a secondo dei reati, che scattano dopo la chiusura dell’indagine. Se il pm non rispetta i tempi, il procuratore generale avocherà l’inchiesta.

Da Il Fatto Quotidiano del 22 settembre 2015

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