Il governo si appresta a mettere mano al sistema delle pensioni. E le ipotesi sul piatto vanno nella direzione di garantire una maggiore flessibilità in uscita dal mondo del lavoro. Le ultime indiscrezioni parlano, in particolare, su due tipi di intervento. In primo luogo, si prevede una nuova edizione della “opzione donna“, cioè la possibilità, introdotta nel 2004, di anticipare il pensionamento rinunciando a una parte dell’assegno. Poi, si parla di un’inedita “opzione uomo“, basata sullo stesso meccanismo. Ma affinché l’operazione vada in porto bisognerà superare il nodo coperture e i paletti posti dal ministro Pier Carlo Padoan.

In particolare, l’urgenza di intervenire sul versante femminile è legata alla scadenza del primo gennaio 2016, quando scatterà il cosiddetto “scalone” previsto dalla riforma Fornero. In poche parole, le lavoratrici dovranno aspettare più a lungo per andare in pensione. Per esempio, l’età di vecchiaia per le donne dipendenti private passerà da 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 7 mesi, con un balzo di quasi due anni dall’oggi al domani. Allo stesso tempo, il 31 dicembre scade l’opzione donna, che alle lavoratrici con 35 anni di contributi versati permette di andare in pensione anticipata a 57 anni e tre mesi di età, se dipendenti, e a 58 anni se autonome, al prezzo di rinunciare alla parte retributiva dell’assegno previdenziale, con una riduzione media del 25-30%.

Così, il governo sta studiando di varare una nuova opzione donna: si parla della possibilità di abbandonare il lavoro tre anni prima dell’età di vecchiaia. In questo modo, le lavoratrici potranno anticipare la pensione a 62-63 anni con 35 di contributi. In questo caso, la riduzione dell’assegno, secondo i tecnici del governo, sarà inferiore, pari a circa il 10%. Questo perché non sarebbe previsto il ricalcolo contributivo sull’intera vita lavorativa, ma solo un sistema legato alla speranza di vita. Ma attenzione al nodo coperture. Il governo prevede che nel lungo periodo l’operazione sarà neutra per i conti dello Stato, ma per i primi anni di utilizzo dell’opzione bisognerà trovare adeguate risorse, perché le pensioni, anche se più basse, si pagheranno in anticipo e per un tempo più lungo.

Le novità riguarderanno anche gli uomini, ma solo quelli che hanno perso il lavoro a pochi anni dalla pensione. Si lavora a una sorta di opzione uomo (sempre con decurtazione legata alla speranza di vita) e all’ipotesi di prestito pensionistico, ovvero all’anticipo di una parte della prestazione da restituire una volta che si raggiungono i requisiti per la pensione. Per le situazioni di maggiore disagio si ipotizza una “pensione di solidarietà”, ovvero una sorta di ammortizzatore sociale di accompagnamento alla pensione.

La questione, oltre che tecnica, è anche politica. Da una parte, c’è il ministero del Lavoro, che preme per un intervento che offra un’alternativa al temuto “scalone”. “Stiamo lavorando sulle riforma delle pensioni. Sappiamo che c’è un aspetto da risolvere legato a uno scalino alto che blocca il turn over introdotto dalla Legge Fornero – ha detto il ministro Giuliano Poletti – In questo momento stiamo valutando opzioni e punti di equilibrio assieme al ministro dell’Economia Padoan”. E infatti il punto sta nel trovare le coperture necessarie. Dalle colonne di Repubblica, il titolare del Tesoro nei giorni scorsi si è mostrato possibilista, ma ha richiamato l’attenzione sui conti: “Non c’è nulla di male a esaminare possibili correttivi che riguardano individui che si trovano vicini alla pensione ma con una prospettiva occupazionale difficile. Ma va considerato naturalmente che questo ha un costo e l’equilibrio di finanza pubblica deve essere mantenuto”. E mentre i tecnici sono al lavoro, i sindacati marcano stretto il governo. “A giorni alterni abbiamo informazioni assolutamente diverse da parte dei ministri e dallo stesso presidente del Consiglio – spiega Susanna Camusso, segretario generale Cgil – Ben venga se il governo ne discute, ma siamo pronti a mobilitarci se non ci sarà questa scelta nella legge di Stabilità”.

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