Bambina siriana di fronte alla polizia turca

Non è giusto che sia un Parlamento da solo a decidere sul tema dell’immigrazione: se aprire o meno le frontiere alle frotte di disperati che vorrebbero entrare; se far una scelta tra loro ed ammettere alcune etnie o nazionalità ed altre no. Men che meno è corretto che a farlo sia un governo. Non semplicemente i rappresentanti di un popolo dovrebbero pronunciarsi su scelte del genere, ma il popolo stesso. Io credo sia opportuno il referendum in questi casi, in modo tale che sia inequivocabilmente una nazione nel suo complesso a decidere se aprirsi al prossimo in cerca di fortuna (accettando evidentemente tutti i rischi) oppure chiudersi, ergere muri, tirar fili spinati, piantar cavalli di frisia o quant’altro possa rappresentare una difesa dalla povetà.

Ci vorrebbe il referendum europeo! Tutti i cittadini dei paesi che compongono l’Unione dovrebbero essere chiamati alle urne ad esprimere il proprio parere. Ciascuno di noi, quindi, sia il responsabile diretto delle proprie decisioni. Ci commuoviamo di fronte al corpo di un bimbo di 3 anni senza vita su una spiaggia turca? E allora forza: diciamo con esattezza cosa vorremmo fare per risolvere questa ecatombe di vite che seguono il miraggio di un cambiamento. Non deleghiamo ai politici la ricerca di un qualcosa nella quale non crediamo; di una soluzione che nemmeno concepiamo, perché non curarsi di ciò che accade fa comodo e la responsabilità fa paura.

È certamente più facile urlare contro lo straniero dietro un capopopolo qualsiasi, quando nessuno di noi avrebbe il coraggio – voglio immaginare – di negare l’aiuto a un bimbo, a una famiglia o a un padre che stanno annegando o morendo di fame o di sete dopo un viaggio estenuante. Nessuno avrebbe il coraggio di fare come quella videoreporter ungherese impegnata a sgambettare gli immigrati disperati che scappavano dalla polizia. Si trattava probabilmente di una persona disturbata e nessuno si metterebbe mai al suo posto, però rischiamo di delegare politici urlanti che emettono proclami, che sembrano sgambetti dati senza pietà e senza curarsi di chi sia la vittima.

Ciascuno si prenda la responsabilità, nel caso, di apporre un segno positivo sotto un quesito del tipo: “Vorresti che un muro difendesse i confini del tuo paese dagli immigrati?”. Si prenda quest’onere, assieme poi a quello di doverlo, un giorno, raccontare ai propri figli o ai propri nipoti, spiegando che loro stessi potranno patire il medesimo trattamento, volessero – o fossero costretti – ad andar a cercar fortuna all’estero.

Ma in questo fantomatico referendum, prenda le proprie responsabilità anche chi è per un’apertura senza “se” e senza “ma”. Abbia il coraggio di guardare in faccia le conseguenze delle sue decisioni, anche chi si dice “democratico” più di chiunque altro; chi si dice “aperto” e multiculturale; chi si dice più buono e benpensante. Anche loro evitino di demandare le loro raccomandazioni e se li carichino sulle spalle. Col rischio poi di giustificare un paese meno sicuro, in cui l’accoglienza è fatta “tanto per fare”, ma senza risorse economiche che le permettano di funzionare bene; tanto poi il vero problema di chi è “buono” è tornare a casa la sera, in una bella casa, con una famiglia perfetta, sicura, felice: da primo mondo!

L’immigrazione non va demandata, va da tutti noi affrontata direttamente e consapevolmente, certi che si tratti di un fenomeno che non si può fermare, ma tutt’al più governare, sperare di controllare e tenere a bada. Tutti noi dobbiamo avere le “vite cambiate” da questa grande questione riguardante l’umanità. E il primo passo è saper decidere cosa fare, con intelligenza e raziocinio. Non dobbiamo lasciare che a decidere siano solo i politici; del resto molti di loro sarebbero i primi a darci in pasto verità preconfezionate, delegando, in un certo senso, il loro impegno all’inettitudine, all’opportunismo, al qualunquismo e alla stupidità.

Dobbiamo essere noi a decidere su questi disperati: ciascuno rifletta, valuti, provasse a sentire il flusso delle cose.

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