Non so se qualcuno di voi abbia mai visto la serie tv Arrow, una specie di Batman vestito di verde e armato di arco e frecce che tenta di salvare la sua città dai ricchi delinquenti che, milioni di dollari alla mano, corrompono, avvelenano e devastano, cercando nel frattempo di non perdere la propria umanità.

Bene, l’attore che interpreta il protagonista si chiama Stephen Amell. Canadese, è conosciuto al pubblico per essere uno degli attori di serie televisive che più interagisce con i fans sui social network e che si prodiga in cause di beneficenza. L’ultima di queste ha sostenuto la lotta contro i disagi mentali di ragazzi vittime di bullismo da una parte e di veterani tornati dalla guerra con disturbi da stress post-traumatico (e lasciati dallo Stato a loro stessi) dall’altra.

Ieri, negli Stati Uniti, scoppia lo scandalo del ragazzino musulmano di 15 anni, Ahmed, che, arrivato in classe con un orologio costruito tutto da solo, viene denunciato dagli insegnanti e arrestato dalla Polizia per sospetto terrorismo (l’orologio era stato scambiato per una bomba).

Iniziano le (giustissime) levate di scudi in difesa di Ahmed e le (altrettanto giustissime) proteste contro l’islamofobia e il razzismo che si respirano ormai sempre più frequentemente negli States e nel mondo. Purtroppo, come spesso avviene in questi casi, accanto alla difesa di un sacrosanto diritto, parte veloce la generalizzazione: molti commenti sui social network e sui siti internet condannano tutto lo Stato del Texas e i suoi cittadini come razzisti e islamofobici.

Stephen Amell, sposato con una ragazza texana, commette “l’errore” di postare questo tweet: “Stereotyping Texas isn’t any better than stereotyping Ahmed. Just so we’re clear”.

Etichettare il Texas non è meglio che etichettare Ahmed. Giusto per essere chiari. Pioggia di insulti su Stephen Amell, che vanno dal riflettuto “certo, tu non puoi capire, sei bianco, eterosessuale e cattolico” (nessuno sa di che religione sia Amell) al più educato “ma stai zitto, cazzo”, fino al più minaccioso “vai a fanculo, ti tolgo il ‘mi piace’”. A nulla sono valsi i tentativi di spiegare (con 140 caratteri, poi, era già un’impresa impossibile in partenza), Amell era diventato un razzista, per la sacra logica del “o con noi o con loro.” O con chi offende i texani o con i razzisti. Tertium non datur. E Stephen Amell oggi scrive un post sulla sua pagina facebook: “Non intendevo offendere nessuno. Sinceramente. Stavo semplicemente suggerendo che due torti non fanno una ragione. Ora andrò via per un po’”.

Didn’t mean to offend anyone. Truthfully. Was simply suggesting that two wrongs don’t make a right. I’ll go away for a bit now. SA

Posted by Stephen Amell on Wednesday, 16 September 2015

Chi sta seguendo le milioni di notizie dei migranti picchiati in Ungheria e in tante altre parti d’Europa in questi giorni potrebbe dire: “e chi se ne frega, è un attore, ci sono problemi più gravi”. Certo, non cadrà sicuramente il mondo se un attore milionario si è sentito ferito dall’aggressività di certe persone ma a me questa storia ha fatto riflettere parecchio. Credo sia l’esempio perfetto di una delle due ragioni per cui il mondo sta andando a rotoli (l’altra è la perdita dell’umanità, ovviamente): l’estremismo populistico, la semplificazione estrema, il “o uguale a me o in guerra contro di me”, la perdita della capacità di comprendere l’altro.

Stephen Amell è solo un attore ma la reazione che ha scatenato, purtroppo, non era una fiction.

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