Qualcuno si offende, qualcuno se la ride. Per altri non c’è proprio nulla da ridere, perché pur sempre di 83mila morti l’anno si parla. Il Ministro della Salute annuncia per fine settembre una stretta sul fumo che fa discutere. Non per le misure che verranno adottate quanto per la campagna informativa che le affiancherà. A partire dal titolo: “Ma che, sei scemo?”. E tanti a chiedersi chi lo sia di più, in fondo, tra chi fuma sigarette facendosi del male e lo Stato che gliele vende, facendoci una montagna di soldi per poi insultarlo anziché ringraziarlo.

La domanda si pone un minuto dopo la conferenza stampa in cui il ministro Beatrice Lorenzin illustra il decreto calendarizzato per fine settembre. A 12 anni dalla legge che ha vietato le bionde nei luoghi pubblici, nei locali e sul posto di lavoro si è registrata una diminuzione nella vendita del 25%. Bene. Ma i giovanissimi iniziano a tenere in tasca il pacchetto già a 11 anni e per le donne la dipendenza è in crescita. Per evitare che i benefici ottenuti con la vecchia legge si trasformino in un fallimento arriva dunque la nuova stretta sulle sigarette.

L’occasione è offerta dalle nuove regole comunitarie. La direttiva n.40 del 2014 interviene su vari punti, come il divieto di vendita dei pacchetti da 10 e delle confezioni di tabacco da arrotolare con meno di 30 grammi. Il testo italiano va anche oltre (scarica): introduce il divieto in auto in presenza di minori e donne in gravidanza, la vendita di quelle elettroniche ai minori, il ritiro della licenza per il tabaccaio sorpreso due volte a vendere sigarette ai minori. E fin qui tutto bene. C’è però qualcos’altro che l’Europa non dice e che fa solo l’Italia: lanciare l’allarme generale e mettere divieti, per poi buttarla sul ridere. Mica che smettano proprio tutti.

Forse così si spiega la scelta del governo di accompagnare il decreto con una serie di spot radio e tv che affidano all’ironia il compito di tenere i tabagisti lontani dal tabacco. Il testimonial è l’attore comico Nino Frassica che, rivolgendosi a un giovane fumatore, lo apostrofa così: “Ma che, sei scemo?”. Sarà questo il titolo della campagna-tormentone che la stessa Lorenzin ha rivendicato in tutta la sua originalità: “E’ una scelta in contrasto con il messaggio che si sta dando in questo momento nella maggior parte dei Paesi europei che sul fumo hanno fatto spot molto aggressivi. Noi abbiamo preso una strada diversa, uno stile di comunicazione delicato, ironico ma al tempo stesso forte. Ma credo sia un buon modo di far arrivare l’informazione”.

Alcuni tabagisti della prima ora non la prendono bene. Vittorio Fetri, ad esempio, in un editoriale contesta l’insopportabile ipocrisia che, a suo dire, accompagna l’iniziativa: “Il fumatore – scrive il direttore de Il Giornale – è un prezioso cliente di un’azienda pubblica nonché contribuente speciale dell’Erario. Eppure a titolo di ringraziamento, il governo di cui la Lorenzin è membro gli da dello scemo”. La polemica non è solo fumo. La direttiva europea anche impone l’obbligo di riportare in etichetta immagini esplicite delle conseguenze dei danni. C’è un intero campionario di truculenze, messo a punto dagli esperti della Ue, pronto a prender posto tra gli scaffali delle rivendite&tabacchi: la trachea bucata, il polmone nero, i denti corrosi etc. Le immagini scelte dal ministero, a onor del vero, sono meno forti (sotto, alcune selezionate). Ma in ogni caso non si capisce perché il terrore corra sullo scaffale  e nelle tasche di chi già fuma. Mentre in tv – a beneficio del grande pubblico – evapori del tutto, lasciando il posto allo scherzo.

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La schizofrenia su come informare i consumatori sui rischi del fumo sembra riflettere il conflitto d’interessi in capo allo Stato, da sempre scisso tra le ragioni di tutela della salute pubblica del ministero della Sanità e quelle “di cassa” del ministero delle Finanze che dalle accise sul tabacco ricava 14 miliardi di gettito fiscale. Detto altrimenti: se domani smettessimo tutti di fumare il governo dovrebbe mettere mano a una gigantesca manovra finanziaria. E così ogni anno. Insomma, se il fumo puzza pecunia non olet. Ecco spiegata, forse, l’ipocrisia di chi annuncia la stretta, ma non troppo.

Diversamente, del resto, finirebbero subito sul tavolo altre questioni. Non va dimenticato infatti che l’Italia è il primo paese europeo per coltivazione di tabacco e il decimo a livello mondiale. Nel 1990 era al settimo posto. La “filiera”, oltre a garantire il 7,2% delle imposte indirette, garantisce anche l’occupazione a 200mila persone. La politica allora non potrà mai dimostrarsi del tutto insensibile, l’industria del tabacco non ringraziarla per questo. Il cortocircuito emerge e a volte si fa esplicito, quasi smaccato. E’ accaduto, recentemente, con la Fondazione Open di Matteo Renzi: tra i donatori 2014 è spuntata anche la British Tobacco che ha elargito 100mila euro giusto qualche settimana dopo che il premier e il gran capo della Bat (Nicandro Durante) si erano incontrati. Motivo? Era la vigilia dell’aumento delle accise annunciato dal governo con un decreto per riordinare l’intero settore dei tabacchi, in calo da due anni ma che mostrava segnali di ripresa. Fumatori sì, ma non scemi.

Chi non se la prende troppo è Maurizio Costanzo, uno che fino a nove anni fa aveva sempre una Marlboro in bocca. La domanda dello spot se l’è posta e l’ha fatta (inutilmente) anche ai suoi figli quando li ha visti fumare. “Ma non è  servito a molto, anzi”, racconta oggi al fattoquotidiano.it -. Allora fumavo 2 pacchetti al giorno e anelavo a una forma di costrizione che mi obbligasse a smettere. Poi ho smesso di colpo dopo il bypass, avevo paura”. E allora, che cosa pensa oggi di questa campagna che invece di far paura fa ridere? “Ho visto lo spot. Frassica lo dice a un giovane e visto che bisogna colpire i giovani va bene anche quello, ammesso che funzioni. A Feltri dico “sei arrivato a una certa età da fumatore e fai bene. Ma se serve a spezzare il legame tra i giovani e la sigaretta va bene anche lo spot con insulto”. Purché non vada di traverso, diventando il pretesto per accendersi la prossima.

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