“Alle prossime elezioni politiche del 2020 possiamo vincere”. Un Jeremy Corbyn decisamente combattivo ha fatto oggi la sua prima vera uscita pubblica da quando, sabato 12 settembre, è stato eletto alla guida del partito laburista britannico. L’uomo che nessuno credeva potesse arrivare a tanto e che in pochi mesi ha portato avanti – anche grazie al sostegno delle sigle dei lavoratori – una cavalcata incredibile verso la leadership nella giornata di martedì 15 settembre ha preso parte, da vincente, all’assemblea del Trades Union Congress, il consiglio dei sindacati confederali del Regno Unito. “Proporremo l’idea e la visione di una società migliore”, ha precisato Corbyn, etichettando allo stesso tempo il partito conservatore di governo come una formazione “che nega la povertà”. L’austerity ha chiaramente “stufato” la classe lavoratrice britannica, ha più volte sottolineato il 66enne parlamentare di Islington. “Ed è anche grazie a ciò che nel 2020 vedremo la fine del governo Tory”.

Ma Corbyn, nella giornata di martedì, non si è limitato a puntare le armi della retorica contro il partito conservatore, ma ha anche sfidato le convenzioni di un Regno Unito dove tutti o quasi, laburisti compresi, si dicono monarchici. Partecipando infatti a una cerimonia religiosa per ricordare caduti e feriti della Battaglia d’Inghilterra di 75 anni fa, quando l’aeronautica di Hitler lanciò il suo attacco, durato tre mesi e tre settimane, al Regno Unito e a Londra, Corbyn non ha cantato l’inno nazionale, quel ‘God Save the Queen’ che celebra appunto il sovrano di turno, oltre a Dio, in questo caso la regina Elisabetta.

Le telecamere nella cattedrale di St. Paul, del resto, hanno ripreso per lunghi minuti proprio il nuovo leader del Labour, concentrato ma silenzioso e impassibile durante l’inno. Un affronto per tanti, tantissimi politici, anche del suo stesso partito ma non solo, come ad esempio il leader dell’Ukip (e alleato del Movimento Cinque Stelle italiano all’europarlamento di Bruxelles) Nigel Farage. “Del resto è un repubblicano nel cuore – ha ricordato il politico euroscettico parlando con la stampa britannica – e cioè qualcosa che veramente pochi laburisti accetterebbero”. La fede per la casa reale e per il ruolo della sovrana, nel Regno Unito, è un qualcosa di comune alla stragrande maggioranza dei britannici, sia di destra che di sinistra. Un elemento che Farage ha subito voluto cavalcare a messa conclusa.

Sul personaggio Corbyn, tuttavia, si moltiplicano sempre più commenti e pareri positivi anche da parte di chi lo ha sempre criticato, forse anche per la tendenza universale del ‘salire sul carro del vincitore’. E se anche il Daily Mail – tabloid di destra fin dall’inizio contrario al parlamentare pacifista, vegetariano e astemio – ha iniziato a dare una certa di linea di credito a Corbyn, ha stupito quel commento pubblicato nel pomeriggio del 15 settembre dal London Evening Standard, quotidiano più diffuso della capitale con oltre un milione di copie stampate e distribuite gratuitamente ogni giorno. Il noto commentatore ed esperto di economia Anthony Hilton è stato chiaro: “Le persone non votarono Margaret Thatcher nel 1979 perché si erano improvvisamente convinte dei meriti del mercato, delle politiche monetarie e di quelle liberiste. La votarono perché erano stufe degli scioperi e di essere ostaggio dei leader sindacali. Allo stesso modo – ha continuato l’editorialista – le persone non hanno votato Jeremy Corbyn come nuovo leader del Labour perché si sono riscoperte da un momento all’altro socialiste (che nel Regno Unito è quasi sinonimo di ‘comuniste’, ndr). Lo hanno votato perché sono stufe dell’austerity e del comportamento dei banchieri e dei grandi dirigenti di impresa che danno l’impressione che l’intero sistema economico esista solo per il loro beneficio”.

Non è un mistero che il primo ministro conservatore David Cameron voglia far passare il prima possibile il Trade Unions Bill, un disegno di legge in discussione che, se approvato, limiterà fortemente il diritto di sciopero e il legame fra le formazioni politiche e le sigle. Ecco così che come prima mossa di Corbyn c’è stata proprio quella di chiedere “unità” ai sindacati, per “lavorare insieme”. E in un Regno Unito dove le organizzazioni dei lavoratori sono state depotenziate già a partire dal primo governo Thatcher, e soprattutto dopo gli storici scontri fra la ‘Lady di Ferro’ e i minatori negli anni Ottanta, non è detto che la forza propulsiva in arrivo dai sindacati non possa garantire ulteriori successi al parlamentare di Islington.

Certo, da qui al 2020 manca ancora tanto tempo e tutto può succedere al di qua della Manica. Ma intanto fa riflettere quella battuta che sostenitori e simpatizzanti di Corbyn stanno rilanciando sui social network in questi giorni: “Dicono che Jeremy sia ineleggibile. Dicono che una persona che è appena stata eletta sia appunto ineleggibile”. Ben 250mila elettori alle primarie, su una platea di poco più 420mila votanti, hanno scelto per il deputato pacifista e filopalestinese. Certo, altri numeri rispetto per esempio alle primarie italiane. Ma in una Gran Bretagna dove anche la partecipazione alle elezioni politiche di solito è assai ridotta, 250mila voti per un solo uomo sono tanti, veramente tanti.

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