Il governo Renzi ha introdotto qualche “avanzamento marginale” nel sostegno al reddito, ma finora non si è “discostato in misura sostanziale dai suoi predecessori” e ha confermato la “tradizionale disattenzione della politica italiana nei confronti delle fasce più deboli”. E’ il giudizio severo della Caritas Italiana nel Rapporto 2015 ‘Le politiche contro la povertà in Italia-Dopo la crisi costruire il Welfare“, presentato oggi a Roma. Il rapporto contiene un altro giudizio politico non consueto per un organismo che è diretta emenazione della Chiesa: se negli ultimi mesi “è cresciuta nel dibattito politico” l’attenzione verso la lotta all’indigenza, è “merito soprattutto del Movimento 5 Stelle“, che ha fatto “della lotta alla povertà, attraverso il reddito di cittadinanza, una propria bandiera”.

Per il resto, l’unica misura stabile introdotta dal 2007, cioè nel periodo di crisi, “è stata la Social Card, attiva dal 2008, che non ha modificato in misura significativa il quadro delineato, data l’esiguità tanto degli importi previsti quanto del numero di poveri raggiunti”. Intanto, però, sono state “ulteriormente indebolite dalle politiche di austerità rivolte ai Comuni, che li hanno portati a contrarre la loro spesa sociale, già molto scarsa”. Di conseguenza, “oggi ci troviamo di fronte a una povertà diffusa e a un welfare pubblico ancora del tutto inadeguato”. Se ora l’interesse del Parlamento su questo fronte pare crescere, il merito va ai già citati 5 Stelle, ma anche a “Sel, autorevoli esponenti della Lega Nord così come del Partito Democratico“, che “si sono espressi a favore di un intervento strutturale in materia”.

“RENZI NON HA UNA POSIZIONE PRECISA”. La palla però passa al presidente del Consiglio, chiamato in causa direttamete dal rapporto: “Decisivo sarà l’orientamento del presidente Renzi che, da quando è a palazzo Chigi, non ha ancora assunto una posizione pubblica precisa sulla lotta alla povertà”, contro cui “è necessario adottare interventi strutturali: la costruzione di un sistema di welfare e l’introduzione del reddito minimo di inclusione sociale”. Intanto la prima risposta arriva dal sottosegretario allo sviluppo economico Claudio De Vincenti ospite alla presentazione. Che se l’è presa, senza nominarle, con le forze politiche “interne ed esterne alla maggioranza”, che sono solo “buone a dire ‘diamo il reddito di cittadinanza a tutti’. Questa è cialtroneria politica che non ha nulla a che fare con la soluzione del problema, non lo sopporto”. De Vincenti ha difeso i provvedimenti del governo in materia di lavoro, indicandoli come un “primo passo” verso le politiche di inclusione. Secondo De Vincenti, “è nel dna di questo governo creare le condizioni per sconfiggere la povertà. Per farlo abbiamo bisogno innanzitutto che il Paese si rimetta in moto, che riprenda a crescere. Stiamo lavorando per questo e i dati economici che arrivano ci confortano. Questo è il passo necessario per costruire in modo serio e realistico anche le risposte al problema della povertà”.

Il governo chiamato in causa risponde anche con una nota del ministro del Lavoro Giuliano Poletti: “Siamo ben consapevoli dell’urgenza di intervenire nel contrasto alla povertà e siamo molto attenti all’analisi e alle proposte della Caritas”. Il ministro ribadisce quanto detto da De Vincenti: “L’azione di Governo, anche quando non direttamente volta al contrasto alla povertà estrema, è caratterizzata da una evidente inversione di tendenza rispetto al passato”, afferma citando il Jobs act, la riforma degli ammortizzatori sociali, l’universalizzazione della Naspi, “che copre molte figure che altrimenti sarebbero rimaste senza reddito, all’introduzione, per la prima volta nel nostro paese, di un sussidio di disoccupazione di natura non previdenziale, l’Asdi, destinato proprio ai disoccupati più bisognosi che abbiano esaurito gli altri sussidi. Non bisogna infatti mai dimenticare che la via principale per l’uscita dalla povertà è il lavoro”.

I POVERI ASSOLUTI? RADDOPPIATI. “I più recenti dati Istat ci dicono che la povertà assoluta in Italia ha smesso di crescere”, si legge nella presentazione del rapporto. “Per la prima volta dal 2007, infatti, nel 2014 la percentuale di persone colpite si è stabilizzata rispetto all’anno precedente: nel 2014 erano il 6,8% del totale mentre nel 2013 il 7,3%”. Ma la situazione è meno rosea di quanto sembri: “Se confrontiamo il 2014 con il 2007, ultimo anno prima dell’inizio della crisi, si osserva che il numero delle persone in povertà assoluta è salito dal 3,1% al 6,8% del totale. Rispetto all’Italia pre-recessione, dunque, i poveri in senso assoluto sono più che raddoppiati”.

Non solo i poveri sono aumentati, osserva il rapporto, ma le loro condizioni di vita tendono a “deteriorarsi maggiormente. Durante la crisi, il 10% della popolazione con minor reddito – per lo più, appunto, persone in povertà assoluta – ha sperimento una contrazione percentuale
del proprio reddito (meno 27%) assai superiore a quella vissuta dal restante 90%”. Inoltre la povertà ora colpisce “trasversalmente i gruppi sociali: non più solo famiglie numerose che vivono al Sud e con componenti disoccupati, ma famiglie con uno e due figli, che vivono al Centro-Nord e in cui sono presenti membri occupati”. Quel che è peggio è che questo rappresenta un “indebolimento strutturale della società italiana”, il che  “rende irrealistico immaginare di tornare ai livelli di povertà del 2007”.

ITALIA COME LA GRECIA: NESSUNA MISURA NAZIONALE CONTRO POVERTA’. Ecco allora l’importanza delle politiche governative, sulle quali la Caritas dà un giudizio negativo, pur riconoscendo alla compagine di Matteo Renzi di aver fatto qualcosa in più rispetto ai predecessori. L’Italia, sottolinea il rapporto, è l’unico paese europeo, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale contro la povertà. L’attuale sistema di interventi pubblici risulta del tutto inadeguato (i fondi nazionali sono passati da 3,169 miliardi del 2008 a 1,233 miliardi del 2015) e frantumato in una miriade di prestazioni non coordinate. “La gran parte dei finanziamenti pubblici disponibili è dedicata a prestazioni monetarie nazionali mentre i servizi alla persona, di titolarità dei Comuni, sono sottofinanziati”, sottolineano i ricercatori. Infine, la distribuzione della spesa pubblica è decisamente “sfavorevole ai poveri: l’Italia ha una percentuale di stanziamenti dedicati alla lotta alla povertà inferiore alla media dei Paesi dell’area euro (0,1% rispetto a 0,5% del Pil, l’80% in meno)”.

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Gli interventi decisi dal governo Renzi – bonus di 80 euro, bonus bebè, bonus per le famiglie numerose e l’Asdi – secondo il rapporto si traduce in un complessivo incremento medio di reddito pari al 5,7%, risultato migliore rispetto ai precedenti governi. Si tratta, però, di un “avanzamento marginale e non privo di controindicazioni e pertanto la valutazione d’insieme è che in materia di sostegno al reddito l’attuale esecutivo, a oggi, non si è discostato in misura sostanziale dai suoi predecessori”, confermando “la tradizionale disattenzione della politica italiana nei confronti delle fasce più deboli”. Se, infatti, il 22% dei nuclei poveri ottiene almeno una delle misure sopra elencate, solo il 5,5% esce dalla povertà per effetto di questi interventi. Anche le misure annunciate, come l’abolizione della Tasi o la riduzione dell’Irpef, incideranno poco o nulla su questi nuclei che per lo più sono incapienti.

TAGLIO TASI? “SCARSO IMPATTO”. E l’annunciato taglio della Tasi sulla prima casa? “L’effetto risulterà estremamente contenuto poiché solo il 35% delle famiglie in povertà assoluta la paga”. Neanche sulla possibile riduzione dell’Irpef promessa per il 2018 convince i ricercatori della Caritas. Le modalità di riduzione non sono ancora note, “in ogni modo, la ricaduta sugli indigenti sarà irrilevante dato che la gran parte è incapiente. Infatti, tra il 5% di famiglie con il reddito più basso, tutte in povertà assoluta, meno del 10% del totale paga l’Irpef, e nel successivo 5% tale percentuale arriva al 20%”.

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