Amaneï è una casa in mezzo al mare, un palazzetto di fine Ottocento in calce rosa pallido, nel centro antico di Santa Marina di Salina. Costruito dal bisnonno di Elisabetta di Mambro. Nel 1918 l’intera famiglia fu sterminata dall’epidemia di “spagnola“( la più devastante del secolo che provocò la morte di 20 milioni di persone) mentre il nonno Angelo Oliva, ufficiale di cavalleria, si trovava al fronte in Macedonia. Quando tornò, accatastò tutti i mobili, sprangò e chiuse la casa. Nessuno vi mise più piede per 90 anni. Elisabetta, occhi limpidi fatti per tuffarcisi insieme ai suoi racconti memoir di famiglia.

L’ascolta rapita la figlia Elettra, stesso sguardo spalancato sul mondo, aveva sedici anni quando nel giugno del 2005 Elisabetta ha rotto i sigilli, dopo quasi un secolo d’oblio, perché questa dimora diventasse un luogo di incontro, uno spazio concettuale, un piccolo viaggio tra lavori di artisti, libri e curiosità che “incuriosiscono” anche Giorgio Armani. Ogni volta che lo stilista sbarca a Salina mangia da Portobello (spaghetti alle vongole con tartufo) e si ferma da Amanei. Elisabetta nel frattempo è diventata globetrotter, producer teatrale che vive tra Milano, Londra, New York e Salina ( “Senza radici non si vola” è il suo insegnamento).

Della casa di famiglia ha fatto un meticoloso restauro che va dal recupero del pavimento originale fatto di maioliche ai mobili d’antiquariato. Il ritratto della bisnonna, vestita di pizzo nero, lasciato appeso in mezzo a quadretti del Corno d’Africa e ad arazzi siciliani. Al secondo piano c’è lo spazio espositivo dedicato a mostre e installazioni di artisti provenienti da ogni angolo del mondo (sopratutto fuori stagione) mentre la terrazza con vista su facciata baroccheggiante della chiesa, fra una malvasia e una torta della nonna, promuove incontri monitorati dall’eclettico Eduardo Tasca. “Amaneï significa appunto “incontro” tra esseri umani, tra animali ma anche tra cose inanimate”, chiosa Antonella Di Salvo, compagna di scuola di Elisabetta, stesso bisogno e amore per il territorio, ma sopratutto libraria nel dna. E’ una che i libri li annusa: “Più passano gli anni, più mi accorgo che la vera libertà è avere poco, basta una buona lettura…”, è la filosofia di vita minimalist di Antonella, viso cortese come i suoi modi garbati.

Con Elisabetta da dieci anni ha scommesso su Amanei, insieme ha scommesso sui Teatri del Sud, straordinaria realtà anticonformista di un teatro, praticamente, fatto in casa. La compagnia diretta da Emanuele Bottari è fatta di isolani, di età compresa tra i 20 e i 40 anni, fanno altri lavori, vengono da Stromboli, Panarea e Vulcano. Nata con lo scopo di far nascere e sviluppare un centro per fare cultura a trecentosessanta gradi in un’area particolarmente svantaggiata per ovvie ragioni geografico-logistiche; l’idea è di arrivare alla “costruzione” di un non-luogo per allestire e proporre arte evadendo spazi claustrofobici ( il tradizionale teatro, per esempio). D’inverno si riuniscono una volta a settimana a Lipari ( i collegamenti con l’isola madre sono più frequenti), sfidando vento e mare in tempesta. Un magazzino dismesso gli fa da palcoscenico dove provano e riprovano. Quest’anno il loro spettacolo si chiama Philoktet Project. E’ la rivisitazione di una tragedia greca. Sulle orme degli dei.

Anche un lounge come il Papagayo, vista sul porto, può stimolare stimolare la creatività e il pensiero: il suo proprietario, Sergio Santamarina, il belloccio dell’isola, di sera serve cous cous di pesce, di giorno scolpisce sinuose sirenette e le riveste con pareo e turbante. Il barman, magro e nodoso, fra un mojto e un martini, shakera i fianchi. E’ acclamato in pista. Salta, piroetta, fa capriole su una mano sola. E’ uno dei più bravi street artist della regione. Magnificenza dei luoghi, creatività e destagionalizzazione (che parolone ripetiamolo come uno scioglingua) anche a ferie finite, le Eolie non abbassano le saracinesche.
Fine ultima puntata

Twitter: @januariapiromal

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