riforma scuola docenti 675

Si chiama distrazione di massa si legge dibattito politico. Le parole del premier Matteo Renzi sulla questione del trasferimento dei docenti dal Sud al Nord (e in qualche raro caso dal Settentrione al Meridione) così come quelle del governatore della Puglia, Michele Emiliano, sono servite solo a distogliere l’attenzione dal problema reale: manca un investimento nel sistema d’istruzione del Sud del Paese.

Renzi a Porta a Porta ha detto: “Ci sono persone che non hanno il posto fisso e firmerebbero con il sangue per un posto a 50 chilometri. Utilizzare la parola deportati è stato ingiusto e sbagliato. Noi questa cosa non la facciamo solo per sistemare gli insegnanti ma non posso far fare i figli se non ci sono cattedre. Se in Puglia ci sono 20 mila insegnanti è normale che qualcuno se ne possa andare se vuole il posto fisso”.

I numeri danno ragione al premier. Secondo le previsione elaborate dalla Fondazione Giovanni Agnelli il divario per la popolazione studentesca, tra Centro Nord e Sud, si allargherà: nel 2024 ci saranno 6.541 milioni di studenti al Centro Nord e soli 3.237 milioni al Meridione. Di questo passo gli insegnanti del Sud saranno comunque sempre troppi rispetto alle cattedre. Ma la questione è un’altra, sulla quale aprire un confronto.

In molte regioni meridionali, ancora oggi, non c’è il tempo pieno e non esiste la mensa scolastica. Ciò che è un diritto scontato al Nord, una prassi e un sostegno importante per le famiglie che lavorano, resta un’utopia in Sicilia e in Calabria. Non solo. Quando incontro i dirigenti delle scuole che si trovano nei quartieri difficili del nostro Paese sono soliti dirmi tutti la stessa cosa: “Abbiamo bisogno di più risorse umane”.

I dati sulla dispersione scolastica ci consegnano una fotografia dell’Italia divisa in due: la disaggregazione territoriale mostra come il fenomeno continui a interessare in misura più sostenuta il Mezzogiorno, con punte del 25,8% in Sardegna, del 25% in Sicilia e del 21,8% in Campania.
Se vogliamo andare ad analizzare il sistema d’istruzione nella sua interezza possiamo vedere come persino nella prima fase, quella dell’infanzia, c’è un divario colossale: sono le regioni del Nord ad avere il maggior numero di asili nidi pubblici: nei primi cinque posti della lista ci sono Emilia Romagna (619), Lombardia (597), Toscana (402), Piemonte (370) e Lazio (343). Una situazione che penalizza soprattutto il Sud dove il 46% degli asili sono pubblici e il 54% privati.

Di fronte a questa fotografia, se fossi stato il premier o il ministro dell’Istruzione, non avrei avuto dubbi: avrei fatto un investimento in termini di risorse umane proprio nella parte più debole del Paese in modo da garantire all’Italia intera il tempo pieno, la mensa scolastica, un asilo nido pubblico. Questa sarebbe stata la mia “Buona Scuola”.

La politica dev’essere lungimirante non può fermarsi all’oggi: per rivoluzionare l’Italia serve combattere la dispersione scolastica. Non si sarebbe certo risolto il problema per tutte le classi di concorso ma molti docenti sarebbero rimasti a casa loro e avrebbero contribuito al cambiamento del nostro Paese. E’ su questo che dobbiamo concentrare il nostro sguardo. E’ inutile sedersi sulla poltrona di Bruno Vespa a dire bene (Renzi in questo è bravo) ciò che è ovvio, senza alcun contradditorio.

Forse Renzi e il suo governo, di fronte alla morte del 17enne Gennaro alla “Sanità” si sono scordati le parole di Gesualdo Bufalino: “La mafia sarà sconfitta da un esercito di maestri”.

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