Deutschland über alles! Poche storie. Con la spettacolare mossa delle frontiere aperte – un’apertura degna di una mirabile partita a scacchi del grandissimo Kasparov – la Germania ha cancellato il volto arcigno della teutonica potenza che ha annichilito ed umiliato la Grecia squattrinata di Tsipras e dell’irresponsabile Varoufakis. L’immagine della crudele ed insensibile intransigenza finanziaria di Berlino è stata prontamente rimossa dalla nemesi etica e morale di Angela Merkel che ha rilanciato la leadership tedesca in Europa sul fronte della democrazia civile e sui valori fondanti della libertà, della solidarietà, dell’eguaglianza. Valori indiscutibili. Difesi ad oltranza da chi, in un non lontano passato, è precipitato ed affondato nella dittatura nazista e nell’orrore delle sue derive totalitarie. La scelta di Sophie, pardòn, di Angela Merkel, è inequivocabile: no alla paura, no ai muri, ai fili spinati, agli eserciti che respingono, ai poliziotti che marchiano; sì ad una società aperta, cosmopolita, dinamica. La Germania, dunque, come “rifugio”.

Insomma, quella della Germania che apre le frontiere (come l’Austria), soprattutto il modo dell’accoglienza – doni, Inno alla Gioia, applausi – diventa una “lezione” non solo politica a tutto il resto dell’Europa: “Il diritto d’asilo non ha limiti per ciò che riguarda il numero dei richiedenti”, ha dichiarato Angela Merkel, precisando tuttavia che le regole di Dublino sui flussi concordati dei migranti restano valide. Lo spiega nell’intervista rilasciata sabato 5 settembre al Funke Mediengrup, “l’Europa deve dare una prova comune di solidarietà e rispetto delle regole”. Però aggiunge subito: “I profughi che scappano dalla guerra civile siriana hanno lasciato dietro di sé l’orrore. Per quanto riguarda la Germania è bello constatare quanto grande sia la disponibilità all’aiuto nel nostro paese. Siamo di fronte ad una sfida nazionale: la Repubblica Federale tedesca, i suoi laender e i suoi cittadini sentono la responsabilità comune e condivideranno gli oneri finanziari”. Tok! Prima botta, diretta a chi grida contro i profughi che “costano” e che “ci rubano risorse”.

Ma non è tutto. C’è una seconda staffilata. Contro Bruxelles. Contro quei governi che erigono barriere. Che si rifiutano di accogliere: “Così com’è, la politica di asilo europeo non funziona. Il governo tedesco si sta impegnando per far sì che tutti i paesi membri siano all’altezza dei valori europei di umanità e di accoglienza”. La Merkel impugna la bacchetta della maestrina e impartisce i tempi della sua lezione: “Deve esserci una equa ripartizione di compiti e incombenze, in modo che non continui la situazione per cui pochi stati accolgono da soli la maggior parte dei profughi. Tutta l’Europa è chiamata in causa”.

Non si può restare, non si deve restare indifferenti, diceva Elie Wiesel, di fronte all’incalzare dell’orrore, al nichilismo, al disprezzo delle persone. Un conto è la ragion di Stato, un altro è il dolore, la pietà, il dovere di aiutare. La Merkel ha giocato d’anticipo, captando il malessere dei tedeschi, quello stesso malessere – il senso dell’equità stravolto – che persino un giornale popolare e sovente populista come la Bild Zeitung, il più diffuso in Germania, ha interpretato, invitando la gente ad accogliere chi fuggiva dall’atrocità della guerra, dalla disperazione, dalle distruzioni. La stragrande maggioranza dei tedeschi si è ribellata all’operato di quei Paesi, come l’Ungheria, la Slovacchia e la Repubblica Ceca, che hanno trattato i profughi in maniera ostile e poliziesca. Hanno rivissuto le pagine oscure della loro Storia. Odio e violenza. Su questo, la Merkel è categorica: “Ci deve essere tolleranza zero per odio e xenofobia. Non sarebbe la Germania che sogno e fortunatamente non è neanche quella della stragrande maggioranza dei tedeschi”.

La Germania – e l’Austria – dal volto umano è quella delle auto che si dirigono in Ungheria per andare a prendere i profughi arrivati a Budapest. E’ quella che si autotassa per provvedere ai bisogni primari di chi arriva, stremato, in Baviera. La maggioranza dei tedeschi non vuole una “Dunkles Deutschland”, una Germania oscura come paventa il presidente Joachim Gauck, choccato dopo i raid neonazisti contro i rifugiati. Der Spiegel racconta il risentimento e la rabbia che circola in certe zone della Germania riunificata (in Bassa Sassonia, soprattutto), i tentennamenti fra paura e coraggio, gli atteggiamenti burocratici nei confronti del fenomeno, la consapevolezza comunque che il flusso non si arresterà e che i rifugiati cambieranno “di certo” la Germania. Il 60% dei tedeschi, secondo un recentissimo sondaggio, è convinto che il paese sia in grado di accogliere i profughi, e che essi possano essere una risorsa, non soltanto un peso. C’è una mobilitazione, in particolare della classe media, a favore dell’accoglienza, una sorta di “preparazione del campo”, perché il sentire comune della “buona volontà” si traduca in iniziative concrete. A cominciare dai rapporti con i rifugiati e le loro culture: “La tolleranza aumenterà e gli stranieri saranno accolti con un atteggiamento nuovo, senza pregiudizi ma anche senza illusioni”, si legge nella bella inchiesta dello Spiegel.

Insomma, la “lezione” della Germania, più che una sfida, è un gesto di speranza. Di ottimismo. Tra costruire muri e dare fiato alla paura, o aprire le porte e cercare di fare in modo che la società resti una società aperta, i tedeschi stanno scegliendo non solo l’opzione delle frontiere aperte, ma quello di un abbraccio (più che simbolico: guardatevi i video) che significa proviamo a vivere insieme, proviamo a farvi dimenticare l’incubo della fuga, sappiamo bene cosa vuol dire essere stati sotto il tallone della dittatura, e delle atrocità. Abbiamo speso settant’anni per cancellare il nazismo, non ci può essere alcuna tolleranza per chi mette in discussione la dignità di altri esseri umani. Noi non vogliamo più che si ripeta una simile vergogna che purtroppo ci peserà addosso per sempre (la Storia non si cancella, dobbiamo semmai evitare che si ripeta). Non siamo come coloro che vi insultano, e vi augurano di crepare in mare o a casa vostra.

La violenza simbolica della foto di quel piccolo che le onde del mare hanno spiaggiato in Turchia è stata fondamentale per le nostre coscienze. Aiutare, ripetono da Berlino e da Vienna, è un obbligo: per motivi giuridici, oltre che per motivi umanitari. Placare i timori della gente – sentimenti meschini come quelli di tenere che “loro” sfruttino le nostre strutture sociali che non hanno contribuito a creare, o che portino con sé tradizioni culturali non “europee” (tipo il fondamentalismo islamico: ma allora perché scappano dalla jihad?) – è giusto, e un governo capace dovrebbe pensarci. E dovrebbe ricordare come, nell’inverno del 1956, proprio in seguito all’invasione sovietica dell’Ungheria e all’implacabile repressione della rivolta di Budapest, fuggirono 300mila ungheresi che vennero accolti a braccia aperte in Occidente.

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