Ad una certa ora della sera a turno uno dei miei figli mi telefona, senza un ordine preciso e senza seguire nessuna ciclicità. Stasera è toccato a Davide, il più piccolo, per chi si sia imbattuto in lui in questo blog quello della parolaccia scritta sulla pancia per poter insultare senza parlare semplicemente alzando la maglietta.

Dopo avermi raccontato alla rinfusa tutte le sue peripezie marine della giornata appena trascorsa, mi ha chiesto che cosa stessi facendo. Quando gli ho detto che stavo andando a vedere un documentario sul Centro Sperimentale di Cinematografia, mi ha liquidato con un perentorio e disincantato: “Papà, ma all’età tua ancora alla scuola che hai fatto trent’anni fa stai a pensare?”. La verità vera è che quella scuola, non solo perché l’ho frequentata da allievo trentadue anni fa e da docente negli ultimi ventiquattro anni, non me la scrollerò più di dosso, tanto mi è entrata dentro e tanto ha condizionato positivamente la mia vita. Il documentario al Centro del Cinema, che è stato presentato alla Mostra, omaggia i suoi primi ottanta anni di vita con ricordi, brani di esercitazioni, di saggi di diploma e di film, provini di ammissione al corso di recitazione e ricostruzione storica affidata a materiali di repertorio. Lo hanno realizzato in maniera efficace e molto pulita, forse un tantino troppo, cinque tra allievi e neodiplomati: Gianandrea Caruso, Chiara Danese, Davide Minotti, Bernardo Pellegrini e Maria Tilli. Prima della proiezione, un po’ di chiacchiere di maniera, con Presidente, Preside, docenti e ex allievi illustri, tra cui Alba Rochwacher, che poche ore prima in un’altra sala della Mostra aveva illuminato il film di Ascanio Celestini Viva la sposa e Nicola Giuliano, che ha portato alla Mostra il film dell’esordiente Piero Messina, anch’esso diplomato al Csc, L’attesa.

Ecco, due parole sul L’attesa le voglio dire. L’ho detto più volte: non mi compete, soprattutto qui, recensire film. Quando qualche volta entro dentro un film lo faccio con la passione dello spettatore, affidandomi soprattutto alla descrizione delle mie discutibili emozioni. Critici italiani importanti più o meno austeri hanno detto abbastanza la loro sul film, decretandone la bocciatura o quasi. A me invece non è dispiaciuto affatto. E’ un film che mette al centro di se stesso il Cinema, che è il volto di un’attrice che recita ad ogni respiro in maniera impeccabile; che è il resto del cast perfetto; che è il coraggio di regalare allo spettatore minuti di silenzio coinvolgente; che è un uso sapiente, magistrale nel momento del ballo dei ragazzi, della musica; che è due o tre sequenze esteticamente molto belle alla Sorrentino, di cui Messina è stato assistente, che fa dell’estetica, che è cosa seria, uno dei suoi punti di forza. Senza dimenticare che sempre di un film d’esordio si tratti. Che poi il film, che aveva tutte le caratteristiche per essere devastante dal punto di vista emotivo, con me non ci sia riuscito non è detto che non sia colpa mia. Detto questo rimane l’odioso mistero del perché i film italiani in concorso a Venezia abbiano troppo spesso i fucili puntati a priori contro da parte della critica e degli spettatori. Ci vorrebbe un pochino in più di rispetto. Tutto qui.

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