oliver sacks 675Un ragazzo mi racconta che i suoi genitori, entrambi operai, da sempre si alternavano nei turni in un’industria per potergli stare vicino, riponevano in lui le loro speranze e desideravano ardentemente che conseguisse la laurea come riscatto sociale. Al liceo questo ragazzo studiava il minimo perché, secondo il suo parere, gli insegnanti erano noiosi, ma visto che leggeva tantissimo, riusciva ad ottenere magnifici voti. Dopo l’esame di maturità avrebbe voluto viaggiare o dedicarsi al lavoro, tuttavia, per non infrangere il sogno dei genitori, accettò di compiere gli studi universitari. Provava una rabbia adolescenziale alle rappresentazioni suggerite da molte pubblicità, come se l’essenza riposta nella vita di ogni uomo fosse soltanto quella di consumare “mangiare, defecare, lavorare e poi morire”. Non poteva essere tutto qui! Per questo scelse la facoltà di filosofia, per conoscere le storie e il pensiero di coloro che si erano posti i suoi stessi interrogativi. Ora è laureato, si occupa di poesia e lavora nella ristorazione dove ha avuto successo con percorsi enogastronomici che ricercano attraverso il piacere la storia e le tradizioni. Sta progettando, assieme alla moglie, nuove iniziative imprenditoriali.

Ho voluto raccontare in poche righe la storia di questo ragazzo per introdurre una breve riflessione sulla figura di Oliver Sacks, morto recentemente. Trovo nel giovane di cui ho precedentemente parlato quell’inquietudine e quel bisogno di ricerca interiore che hanno animato l’opera dello straordinario scienziato. In un libro “Zio Tungsteno, ricordi di un’infanzia chimica (2001)” egli racconta che da piccolo era affascinato dalla chimica, ma accettò di studiare medicina su sollecitazione dei genitori. La specializzazione in neurologia e le lunghe psicoanalisi personali gli servirono per cercare di esplorare la sua poliedrica personalità, caratterizzata anche dal contrasto fra le pulsioni omosessuali e la rigida educazione ebraica.
Nel libro che gli diede la fama e da cui venne tratto un film “Risvegli” racconta lo stupore e l’entusiasmo del medico di fronte al farmaco apparentemente miracoloso e alla magia della guarigione, seppur breve e poco duratura, dei pazienti affetti da encefalite letargica . Anch’io, come psicoterapeuta, provo spesso la stessa gioia e lo stesso stupore quando una terapia mi pone di fronte al miracolo del paziente che, dopo un brutto periodo, rifiorisce nella gioia di vivere.

Il grande scrittore, inoltre, ha raccontato con maestria molte storie di pazienti neurologici o psichiatrici, ad esempio nel libro: “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello (1985)”. La sua ricerca su che cosa fosse l’IO, quella parte che ognuno di noi sente di rappresentare nell’essenza unica che ci rende vivi, spaziò fra la ricerca delle sedi neurologiche e la scoperta della complessità della vita psichica. Le sue ultime riflessioni ponevano l’ipotesi che l’IO non avesse una sede fisica nel corpo, neppure nel cervello che è l’organo deputato al pensiero, ma fosse la sommatoria della narrazione personale in cui ognuno costruisce la propria identità, attraverso il racconto di se stesso. L’elemento che accomuna Oliver Sacks al ragazzo del quale ho raccontato la storia in apertura è la ricerca continua, all’interno di sè , della fiammella che illumina la nostra vita. Spero che anche i lettori del blog cerchino di alimentare questa fiamma interiore contro tutti gli insegnamenti sbagliati della pubblicità che ci vuole imporre l’idea che la vita, da bravi consumatori, è solo “mangiare, defecare, lavorare e poi morire”.

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