Finalmente un documento chiaro contro la ‘ndrangheta. A più di un anno dalla visita di Papa Francesco nella piana di Sibari nel giugno 2014 quando ha scomunicato i mafiosi, il direttorio diffuso dai vescovi calabresi mette, almeno sulla carta, un punto fermo sulla posizione della Chiesa in relazione alle infiltrazioni delle cosche: dagli inchini alla scelta del padrino, al supporto delle vittime della mafia passando dall’utilizzo dei beni confiscati per farne oratori.

Nel giorno in cui è stato eletto presidente della Conferenza episcopale calabra l’arcivescovo di Catanzaro Vincenzo Bertolone (il postulatore della causa di canonizzazione di don Pino Puglisi), è stato pubblicato un documento di 50 pagine con tutte le indicazioni dei vescovi ai parroci calabresi. L’intento è di evitare episodi come quello avvenuto a Oppido Mamertina nel luglio dello scorso anno quando la statua della Madonna di Tresilico si è fermata davanti all’abitazione del boss Giuseppe Mazzagatti. Oppido come tante altre realtà della provincia di Reggio dove la Chiesa troppo spesso ha avuto un atteggiamento ambiguo circa il suo rapporto con la ‘ndrangheta. Basta pensare, per esempio, che la festa della Madonna della Montagna, il 2 settembre, coincide con l’annuale riunione dei boss a Montalto come emerso chiaramente nel 2009 quando i carabinieri del Ros sono riusciti a filmare i capicosca a pochi metri dal santuario di Polsi, al centro dell’Aspromonte.

“Le processioni sacre – è scritto nel documento dei vescovi – sono manifestazioni di fede e di speranza cristiana da regolamentare a livello diocesano con precise indicazioni pastorali, atte anche a prevenire infiltrazioni dei mafiosi o di persone ad essi contigue. È noto che tali persone hanno tutto l’interesse ad intrufolarsi, prima, e ad egemonizzare, poi, tali eventi. In tal malaugurato caso – continua il comunicato – è evidente che la processione perderebbe la sua genuina natura religiosa. Non può esistere alcun punto in comune tra la fede professata e una vita irreligiosa e miscredente, oppure disorientata dall’appartenenza ad organizzazioni criminali”.

I mafiosi non potranno più organizzare le processioni e partecipare attivamente alle feste popolari: “Devono restarne del tutto esclusi i soggetti con problemi penali, civili, tributari e amministrativi e che siano stati dichiarati colpevoli da sentenze passate in giudicato”. Questo per evitare che le manifestazioni religiose diventino appannaggio delle famiglie ‘ndranghetiste del luogo, che mirerebbero soltanto a favorire la loro esteriore rispettabilità o, ancor peggio, i loro interessi economici e di potere. “A persone condannate con sentenza definitiva per reati di ‘ndrangheta e simili, o che risultino contigue ad associazioni ‘ndranghetiste non va perciò rilasciato dalle autorità ecclesiastiche il permesso di fungere da padrino o madrina”. Se un mafioso si pente lo dovrà fare alla luce del sole altrimenti, per lui, le porte della Chiesa resteranno chiuse.

I parroci dovranno sostenere le vittime della mafia: “Va assolutamente colmata la sensazione di vuoto, di isolamento dei loro familiari e degli imprenditori sotto attacco estorsivo o minacce dei mafiosi”. Occorre, quindi, “promuovere e sostenere forme di consumo critico e solidale nei confronti degli imprenditori e commercianti che hanno denunciato il racket e si rifiutano di pagare il pizzo“. Ma anche “attivare forme di sostegno economico, psicologico e spirituale per i familiari vittime della mafia, in particolare per le donne, i minori e i giovani”. Tutte attività che possono essere svolte in un oratorio o in un centro di aggregazione sociale, utilizzando anche beni confiscati alla ‘ndrangheta.

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