“Verificare? Oggi ed in quest’epoca? Chi se ne frega di verificare qualcosa?! E’ tutta questione di velocità. Chi arriva primo determina cos’è vero. Lo sai tu e lo sanno tutti”. Affidando queste parole ad un personaggio fittizio di uno dei suoi romanzi di maggior successo internazionale, lo scrittore statunitense David Baldacci ha messo in dubbio un preciso concetto, espresso retoricamente con l’interrogativo: perché affannarsi a ricercare la verità quando si può semplicemente, velocemente ed efficacemente crearla “ad arte”?

A differenza del personaggio di Baldacci, questa pratica travisatrice e manipolatoria di alterazione della realtà è tutt’altro che fittizia: prende il nome – tra i tanti che le sono stati attribuiti nel corso della storia – di “gestione della percezione” e consiste nel trasformare una verità fattuale in una verità amministrata, in grado cioè di raggiungere l’obiettivo di persuasione di chi la crea, qualunque esso sia, attraverso un’operazione di distorsione arbitraria. Un tempo, questa tecnica veniva utilizzata prevalentemente per scopi politico-militari, mentre oggi i sistemi di gestione della percezione si sono largamente diffusi a qualsiasi livello del tessuto sociale e raffinati fino ad essere assurti a pieno titolo di materia di scienza o, come nella definizione di Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud, di “ingegneria del consenso”.

E il giornalismo che ruolo gioca oggi in questo scenario? Predilige la ricerca della verità oppure il suo travisamento persuasivo? Lo abbiamo domandato a Riccardo Iacona, giornalista e conduttore televisivo, che in questo episodio di Creativi di Fatto ci parla della natura, del ruolo e degli obiettivi del giornalismo d’inchiesta che produce e divulga dagli anni ’80, svelandoci in cosa consiste il processo creativo nella scoperta, nella conformazione e nella divulgazione di una notizia.

La Repubblica tradita

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