cinaAlla vigilia dell’enorme parata militare cinese, in occasione del 70-esimo anniversario della vittoria contro il Giappone, l’International New York Times aveva già perduto l’a-plomb che lo contraddistingue come ammiraglia mediatica dell’Occidente. Un titolo, a centro pagina, suonava più o meno così: “La Cina scivola verso il basso e la mette in spettacolo”.

Rovesciare la frittata è operazione poco entusiasmante, ma in questo caso è davvero comica. Poiché quanto sta accadendo nei mercati mondiali, nelle borse, nella roulette finanziaria, dice una cosa molto evidente. Christine Lagarde, presidente del Fondo Monetario Internazionale, ha ammesso che quel poco di crescita che, forse, possiamo aspettarci, dipenderà dalla crescita cinese, per quanto “scivolata in basso”. Ma altro che crescita! Siamo in piena recessione mondiale. La Cina che si ridimensiona contribuisce ad aggravarla, ma non ne è la causa.

Invece è una gara, in Occidente, a puntare il dito contro Pechino. Non sono capaci di maneggiare il capitalismo moderno – si scrive dalle nostre parti – stanno combinando guai. Ha cominciato Paul Krugman e tutti dietro a lui con le geremiadi. Io non sono un economista (continuo a ricordarlo perché repetita juvant), ma mi asterrei dal dare troppi consigli ai cinesi. Loro sono, demograficamente, l’equivalente di cinque Americhe e, se preferite, di 25 Italie. Sono ormai l’unico motore rimasto in funzione. Prendiamo atto che, anche per loro, è arrivato il momento di rallentare. C’è solo da sperare che sappiano frenare meglio di quanto non siamo stati capaci di fare noi.

Il problema non è a Pechino, è qui, in casa nostra. L’Europa, che fu pensata (lo ha ricordato Romano Prodi qualche giorno fa) per creare un terzo polo mondiale, in grado di equilibrare la situazione che metteva Cina e Usa in rotta di collisione. Ma dimentichiamoci quel sogno. L’Unione Europea è in pieno marasma, ed è stata subordinata all’Impero, che sta andando in pezzi (anche se finge ottima salute, ma chi crede alle sue cifre?).

E appaiono i primi segnali del collasso. L’ondata migratoria è il punto terminale di politiche economiche imperiali, irresponsabili, che vanno avanti da 40 anni e che sono ora esplose con le guerre di Libia e Siria, entrambe inventate dall’Occidente. Altri collassi, quello finanziario, quello climatico, quello idrico, per esempio, sono alla porta e bussano, ma noi fingiamo di non sentire, anche perché non abbiamo neanche gli strumenti concettuali per affrontarli.

E noi occidentali pretendiamo ancora di scrivere la storia con il bianchetto, secondo la logica dei vincitori. Non siamo andati a Mosca, a festeggiare la vittoria russa contro il nazismo. Alla parata del 3 settembre, a Pechino, c’era quasi tutta l’Asia (salvo Tokio), molta Africa, molta America Latina. Non c’erano gli Stati Uniti, non c’era l’Europa. L’Italia ha mandato Gentiloni, che le telecamere cinesi non hanno nemmeno individuato.

Lo spettacolo della Tian anmen dovrebbe dirci che forse è già tardi per cambiare politica. Tra non molto la Cina sarà potenza mondiale a tutti gli effetti, inclusi quelli strategico-militari. Vladimir Putin stava sul palco d’onore accanto a Xi Jinping. Se non abbiamo capito il messaggio, allora poveri noi.

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