Mentre in Aspromonte si celebra la Madonna di Polsi, è morto il capostipite della cosca Nirta di San Luca, ma per lui niente funerali pubblici come invece li ha avuti poche settimane fa Vittorio Casamonica a Roma. Come avviene ormai da anni per i boss della ‘ndrangheta, infatti, il questore di Reggio Calabria Raffaele Grassi ha disposto i funerali in forma privata, all’alba e con la partecipazione solo dei parenti più stretti di Antonio Nirta, morto a 96 anni nella sua abitazione di contrada Ricciolio di Benestare. Classe 1919, il boss defunto è stato uno degli ideatori del “Crimine”, la massima carica dell’organizzazione mafiosa calabrese.

Con i fratelli Giuseppe, ucciso a Bianco (in provincia di Reggio) nel 1995, Francesco, Sebastiano e Domenico, ed il cognato Francesco Codispoti, Antonio Nirta ha formato una tra più potenti le cosche, conosciuta con il termine de “La Maggiore” che oggi gestisce gran parte del traffico di droga che dal Sudamerica inonda di cocaina l’Italia e l’Europa.

Soprannominato “il diplomatico” (per le sue capacità di relazionarsi con le altre cosche) e zio dell’omonimo Antonio Nirta detto “Due nasi”, il boss era ritenuto il paciere della guerra di mafia che ha insanguinato Reggio Calabria tra il 1985 ed il 1991 quando ci furono quasi mille morti ammazzati nello scontro tra i De Stefano-Tegano e i Condello-Imerti. Un ruolo che Nirta si è ritagliato anche per sedare altre faide in Calabria come quella di San Luca, nella Locride, che ha raggiunto il suo culmine nel 2007 quando nel giorno di ferragosto in Germania, a Duisburg, sono state uccise sei persone ritenute vicine alla cosca rivale dei Pelle-Vottari.

Tra gli anni ’70 e ’80, inoltre, Nirta è stato uno dei maggiori esponenti della anonima sequestri. Diversi anni fa è stato imputato nel processo per lo storico rapimento di Paul Getty, ma è stato assolto per insufficienza di prove. Nel 1969 partecipò ad uno dei momenti più significativi della storia della ‘ndrangheta, il “summit” di Montalto, “violato” dalle forze dell’ordine con l’arresto dei boss che vi presero parte. A quel tavolo c’era anche l’oggi novantaseienne morto in contrada Ricciolio, che porta via con sé i segreti di oltre cinquant’anni di ‘ndrangheta.

Montalto è uno dei luoghi più significativi per le cosche calabresi. I boss e i loro rappresentanti si incontrano in occasione della festa della Madonna di Polsi che si celebra proprio il 2 settembre. Un luogo religioso incastrato al centro dell’Aspromonte che, come emerso dall’inchiesta “Crimine”, nei decenni la ‘ndrangheta ha trasformato in un posto dove annualmente si riunisce la “Provincia” guidata fino al 2008 dal boss Antonio Pelle e poi da Mico Oppedisano, arrestato nel 2010 dopo essere stato filmato dai Ros mentre si trovava con gli altri capicosca nel piazzale del santuario della Madonna della Montagna. Pochi mesi dopo anche il vescovo di Locri Giuseppe Fiorini Morosini ha dovuto ammettere, nel corso della sua omelia alla festa di Polsi, l’esistenza della ‘ndrangheta in quel luogo di chiesa. Ma allo stesso tempo ha minimizzato dicendo: “Se oggi ci saranno incontri e patti illegali, del tipo di quelli che hanno intercettato l’anno scorso le forze dell’ordine, a noi poco importa. Sono cose che non ci riguardano. A noi interessa contemplare il volto materno di Maria”.

Il problema è che, come certificato dall’inchiesta “Crimine”, “in quei luoghi – è scritto in un’informativa della questura di Reggio Calabria – il sacro si unisce al profano e tutto… ha il sapore di religione, ma anche di mafia”. “Solo la Chiesa continua a negare e a protestare” scrive il procuratore aggiunto di Reggio Nicola Gratteri che, nel suo libro “Acquasantissima”, ricorda una frase pronunciata nel 1999 da rettore del santuario di Polsi don Pino Strangio il quale, all’epoca, minacciò le dimissioni: “Che mandino un maresciallo a predicare, così la facciamo finita una volta per sempre”.

E proprio stamattina davanti a migliaia di fedeli giunti a Polsi per la festa della Madonna, il vescovo di Locri Giacomo Oliva nella sua omelia ha fatto riferimento, senza mai pronunciare il termine “’ndrangheta”, a chi è distante dai comportamenti cristiani: “Cambiate vita grida Maria ai suoi devoti. In particolare a coloro che da tempo sono lontani dalla grazia di Dio per la loro cattiva condotta. Agli uomini e alle donne che appartengono a qualunque gruppo criminale o che sono dediti ad attività criminali, la vergine di Polsi fa sentire la voce accorata della mamma. Per il vostro bene, vi chiedo di cambiare vita. Per tutti presto o tardi verrà il giudizio di Dio a cui nessuno potrà sfuggire”. Neanche don Antonio Nirta il “diplomatico” il cui funerale oggi è stato celebrato all’alba, poche ore prima della festa di Polsi.

Articolo Precedente

‘Ndrangheta e gioco online, la parabola di Mario Gennaro “Rubava motorini, ora muove milioni”

next
Articolo Successivo

Corruzione elettorale con aggravante mafiosa, assolto il senatore Ncd Aiello

next