Condanna a sette anni e mezzo di prigione per Khadija Ismayilova, la giornalista d’inchiesta dell’Azerbaigian prelevata lo scorso dicembre dalla radio dove lavorava e portata in carcere, dove è rimasta per otto mesi fino al controverso processo che numerosi osservatori ritengono di matrice politica. Sette anni e mezzo per malversazione, attività commerciale illegale, evasione fiscale e abuso di potere. Caduta l’imputazione di istigazione al suicidio presentata dal suo collega ed ex fidanzato, che l’ha poi ritirata. Ismayilova ha sempre respinto le accuse, anche nell’udienza finale di ieri, quando alla lettura della sua difesa ha definito il processo una “messa in scena”, sostenendo che le prove siano state costruite per fermarla. “Continuate a lottare per quelli che vengono messi a tacere. Se essere arrestati è il prezzo da pagare, ne vale la pena”, ha detto.

La giornalista lavora per Azadliq Radio, la sezione azera di Radio Free Europe/Radio Liberty e per il Consorzio Internazionale di Giornalismo Investigativo sul Crimine Organizzato e la Corruzione, Occrp. Aveva ricostruito le complesse triangolazioni attraverso i paradisi fiscali, grazie alle quali la famiglia del presidente Hilam Aliyev lucra sulle principali attività economiche azere, dallo sfruttamento delle miniere d’oro al mercato telefonico, ai danni dello Stato.

Già in precedenza la giornalista era stata bersaglio delle autorità. Nel 2012 grazie a microcamere piazzate nella sua casa, era stata filmata nei momenti intimi con il compagno, per poi essere ricattata nel tentativo di comprarne il silenzio. Dopo il suo rifiuto di fermare le inchieste i video furono pubblicati. Poi un arresto nel 2013 e le campagne di delegittimazione con le accuse di spionaggio e attività in favore del ‘nemico’ di sempre, l’Armenia. Una situazione drammatica del resto quella vissuta dai giornalisti azeri. Il 9 agosto scorso un altro giornalista, Rasim Aliyev, è morto dopo essere stato barbaramente picchiato da ignoti.

Dure le reazioni alla condanna da parte del Dipartimento di Stato americano e del governo britannico, cui fanno eco Ocse, Amnesty International e Reporters sans Frontières, che classifica l’Azerbaigian, con i suoi più di 20 giornalisti in carcere, al 162esimo posto su 180 per la libertà di stampa.

Silenzio invece da parte del governo italiano, forse per non urtare la sensibilità del nuovo alleato, con cui gli affari vanno alla grande. L’Azerbaigian è infatti il primo fornitore di gas del nostro paese e gli affari diventeranno ancora più solidi con la costruzione del nuovo gasdotto Tap, approvato dal governo lo scorso aprile. A luglio Renzi ha stretto nuovamente la mano del presidente azero dopo la sua visita all’Expo. Anche in quel caso Amnesty era intervenuta, invitando il premier ad affrontare il tema dei diritti umani. Appello caduto nel vuoto.

Il presidente azero si sente talmente a suo agio in Italia da aver scelto il molo di Mergellina, a Napoli, come base per il super-yacht da 54 metri denominato ‘Prima(nella foto L.F. a Porto Cervo) Un‘imbarcazione da 24,5 milioni di euro acquistata dalla società petrolifera di Stato azera, la Socar, e registrato a Panama con una società di comodo, la Prima Shipping and Marine Services, lontano dagli occhi e dal fisco del paese caucasico. A scoprirlo sono stati proprio i giornalisti di Occrp, insieme a quelli di Irpi, centro di giornalismo d’inchiesta italiano. La società petrolifera non ha voluto commentare, ma secondo quanto è riuscita a ricostruire Irpi attraverso gli ex membri dell’equipaggio, lo yacht veniva utilizzato dalla famiglia presidenziale, da ministri e uomini della scorta per scorrazzare tra Cannes, Porto Cervo, St. Tropez e tutte le più esclusive mete del Mediterraneo.

Nei suoi 350 metri quadri, il ‘Prima’ può ospitare 12 passeggeri ed è decorato con marmo, pelle e drappeggi. Il serbatoio dello yacht contiene oltre 118mila litri di carburante, un giorno di navigazione costa oltre centomila euro e un pieno costa circa 200mila euro, che equivale all’incirca allo stipendio ufficiale annuale del presidente Aliyev. Della famiglia presidenziale la frequentatrice più assidua dello yacht è la figlia maggiore, con il marito e l’immancabile scorta. Poi il figlio 18enne, che una volta – raccontano i marinai – li fece partire dalla Sardegna perché lo raggiungessero a Gibilterra, dove salì a bordo solo per cenare.

Manager dello yacht è Rasul Hasanov, definito “una specie di vice ministro” dell’amministrazione marittima azera. Tra gli altri frequentatori del lussuoso natante c’è il ministro dei Trasporti, Ziya Mammadov, la cui famiglia, in affari con gli Aliyev, è conosciuta per l’attività di lobby volta a migliorare l’immagine dell’Azerbaigian in occidente. Poi c’è il generale Beyler Eyyubov, un amante di Porto Cervo, dove – nonostante la disponibilità dello yacht – preferiva dormire con famiglia e guardie del corpo in hotel di lusso “spendendo anche 45-50mila euro a notte”, hanno svelato ad Irpi gli ex-membri dell’equipaggio. E c’è anche chi ricorda di quando a Loano, nel 2012, furono multati e denunciati per inquinamento ambientale, per aver scaricato in rada l’acqua di sentina, con tutto il suo portato maleodorante. E per lavorare sul ‘Prima’, spiegano, il primo requisito non era la capacità, ma il saper tenere la bocca chiusa.

Non è tutto. Perché grazie alla magnanimità dell’azienda petrolifera, generosità sostenuta dai consumi degli italiani, la famiglia presidenziale ha solo l’imbarazzo della scelta per le vacanze da nababbo. Nel mar Caspio è infatti ormeggiato un altro yacht dell’azienda pubblica del gas, il ‘Sedation A‘: 44 metri per un valore di circa 25 milioni. Costo totale dei due gioielli del mare: 49 milioni di euro, più il 10 per cento annuo per il loro mantenimento, secondo gli esperti. Ma risultano anche altri yacht, uno dei quali rintracciato dal pool di giornalisti è ormeggiato nel mar Caspio e si chiama ‘Atlant’.

In un paese ‘democratico’ dove il potere si tramanda di padre in figlio da oltre vent’anni, è evidente che i giornalisti che svolgono seriamente il loro mestiere come Khadija Ismayilova sono un problema. Ma gli Aliyev hanno trovato la soluzione. E l’Italia tace.

di Lorenzo Di Pietro (Irpi) e Cecilia Anesi (Correctiv)
Ha collaborato Cristina Di Battista

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