crisi debito

In Europa è da cinque anni che ci riempiono la testa (e molto altro) con la tesi (falsa) che alcuni paesi (tra i quali l’Italia) hanno raggiunto un livello di indebitamenteo troppo alto e che per questa ragione occorre avviare subito politiche di austerity per ridurre subito tale indebitamento così da poter riprendere a produrre senza quell’ingombrante fardello.

È un ragionamento, questo, che sembra di una logica cristallina tanto è semplice da capire. Infatti è stato sostanzialmente accettato da tutti (o quasi) perché è una logica che risponde alla prudenza del “buon padre di famiglia”: “Il debito deve essere assunto con la massima prudenza, altrimenti presto o tardi ti procurerà un sacco di guai”.

È vero, ma le regole della macro-economia che regolano le manovre economiche degli Stati rispondono a logiche diverse perché (come da anni spiega Krugman, premio Nobel per l’economia) quando lo Stato riduce le spese, da qualche parte c’è qualche impresa che perde un lavoro, e qualche lavoratore che perde il posto, e qualche negozio che perde uno o più clienti, e così via. Si crea quindi un buco nell’economia del paese. E quando questo buco, a causa di manovre di austerity generalizzate, diventa enorme, anche questo cerchio di sofferenze si allarga sempre più e si trasforma in recessione e poi in depressione che può diventare permanente.

È lo stesso Krugman a ritornare su questo aspetto con un interessante articolo sul New York Times dal titolo “Debt is good” (Il debito fa bene) nel quale ancora una volta spiega come sia proprio l’austerity, fatta nei periodi di crisi economica, la causa principale dell’acuirsi della crisi.

Anch’io ci ritorno facendo ancora la similitudine con la tecnica del “salasso” usata dai medici fino a tutto il medioevo. A quel tempo non esistevano ancora medicine efficaci contro certe malattie ma qualcuno, sperimentando direttamente su cavie umane, aveva scoperto che (probabilmente solo in qualche raro caso) togliendo una buona dose di sangue all’ammalato, il fisico dell’ammalato reagiva e, dopo qualche sofferenza, la fase critica veniva superata e l’ammalato guariva.

È proprio quello che ancora oggi molti economisti-stregoni cercano di fare imponendo insopportabili “salassi” ad economie già debilitate da crisi le cui vere cause sono raramente state esaminate con attenzione e raele competenza.

Ma nel suo recentissimo articolo Krugman, oltre a ribadire quanto già detto, mette in evidenza anche altri importanti aspetti di sostegno all’economia che la finanza pubblica può dare al rilancio dell’economia quando è in crisi.

Il primo aspetto è quello della raccolta di risparmio che ogni paese fa con le emissioni di titoli del debito pubblico. Il risparmiatore che vuole accantonare denaro sicuro, garantito dallo Stato, acquista quei titoli (per l’Italia sono i Btp, Cct, ecc.) che hanno il vantaggio di essere facilmente liquidabili in caso di necessità. Lo Stato userà quel denaro per fare gli investimenti pubblici e per le altre necessità finanziarie. In questo modo si crea una utilità reciproca: lo Stato trova finanziatori per soddisfare i propri impegni, il risparmiatore trova una forma di investimento che normalmente comporta un rischio molto basso.

Ma, dice Krugman, in questo momento ci sarebbero da fare molte spese per il rinnovo delle infrastrutture pubbliche (strade, dighe, ferrovie, porti, ecc.). Facendo adesso queste spese si avvierebbero molti lavori, l’economia ripartirebbe alla grande e si tornerebbe ad un vero e proprio boom economico. Però non si può perché il Congresso americano (attualmente controllato in tutti e due i suoi rami dal partito Repubblicano) è invece favorevole all’austerity per ridurre il debito statale.

Fin dove siano realmente convinti che l’austerity sia la medicina giusta per il Paese o non sia invece la solita guerra politica per mettere in difficoltà il presidente Obama (che è invece del partito Democratico) è un aspetto che lascia molti dubbi (anche Krugman non ci crede).

Ma non è tutto. Krugman infatti cita Narayana Kocherlakota, presidente della Federal Reserve di Minneapolis, che rileva come lo scoppio della bolla dei “subprime mortgages”, col conseguente crollo dei titoli in borsa, abbia spostato grandi quantità di risparmio verso i titoli del debito pubblico e che, nel processo, il rendimento dei titoli pubblici americani sia sceso praticamente a zero, accontentando i risparmiatori di non perdere nulla sul capitale investito.

Ma attualmente l’economia americana non è più in crisi, anzi, si potrebbe dire che marcia in piena fase di ripresa. Eppure i tassi rimangono a zero o estremamente bassi. Perché?

Ciò si spiega con il timore che un rialzo precoce potrebbe (visto anche quello che succede attualmente nel resto del mondo) riportare rapidamente l’economia americana in recessione. In questo caso, dice Kocherlakota, la banca centrale non potrebbe nemmeno azionare la leva della riduzione dei tassi, perche i tassi sono già a zero, e un ritorno in recessione sarebbe estremamente arduo da evitare.

Cosa si potrebbe fare dunque? Il rialzo dei tassi, come reclamano a gran voce le banche e le finanziarie (con il sostegno di molti politici), darebbe una grande frenata all’economia e sarebbe perciò altamente sconsigliabile in questo momento (di frenata globale).

L’unica strada sicura sarebbe dunque quella di lasciar salire il debito dello Stato (anche negli Usa bloccato da un tetto rigido, che però viene spesso alzato dal Congresso), in questo modo i tassi potrebbero salire senza creare tensioni all’economia.

Non sono solo Krugman e Kocherlakota a sostenere questa tesi.  Il debito pubblico va tenuto sotto controllo, nessuno contesta questa regola, ma farlo con “tetti” rigidi che non tengono conto delle necessità contingenti non è da economisti, è da incompetenti totali, e non serve a risolvere i problemi ma al contrario li può persino aggravare, come appare evidente dalla grave crisi che attanaglia oggi l’Europa.

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