Uno studio della fondazione consulenti del lavoro stima in 2 milioni il numero di lavoratori in nero nel nostro Paese. Il calcolo è effettuato proiettando le rilevazioni emerse durante l’attività ispettiva del ministero del Lavoro-Inps-Inail del 2014 e dei primi 6 mesi 2015, sui 6 milioni di imprese registrate alle Camere di commercio, più un milione di realtà produttive non iscritte.

Seguendo questo ragionamento, il mancato gettito per il fisco potrebbe ammontare a circa 25 miliardi; irresistibile allora la tentazione di evocare la lotta all’evasione fiscale, formidabile arma di distrazione di massa per traslare sugli avversari politici la responsabilità del carattere disfunzionale del nostro sistema economico e attribuirgli i risultati dell’incapacità di chi lo gestisce sia a livello politico che burocratico.

Proviamo a formulare qualche osservazione sconveniente.

Intanto i 25 miliardi di gettito mancato sono immaginari: l’accordo tra lavoratori e imprese su questi contratti si raggiunge solo perché entrambe le parti possono evitare la costosa intermediazione dello stato grazie all’incapacità (o la connivenza) di chi monitora il rispetto delle leggi. Se fosse possibile piazzare un sorvegliante in ogni impresa, è ragionevole ipotizzare che in larga parte questi posti  di lavoro non esisterebbero. Non si tratta di un giudizio di merito o di fare la morale, ma della semplice costatazione che, se due parti sostengono il rischio di concludere un accordo in violazione della legge (confidando sulla bassa probabilità di venire sanzionati), vuol dire che detto accordo non è conveniente nel rispetto delle regole. Dunque, in quest’ambito, la lotta all’evasione avrebbe come risultato la scomparsa di posti di lavoro (ancorché illegali) e un maggior gettito trascurabile.

Se in assenza del carico fiscale e contributivo questi contratti esistono, è ragionevole ipotizzare che al ridursi del cuneo fiscale, diminuisce la convenienza di concludere questi contratti al di fuori della legge. Dunque un’implicazione di politica economica è che l’osservazione di un’elevata presenza di contratti in nero dovrebbe indurci a ridurre la pressione fiscale e contributiva, con il risultato di far “emergere” alcuni contratti e favorire un aumento dell’occupazione legale.

Pertanto, l’elevato numero di lavoratori in nero, non andrebbe drammatizzato con la retorica dei tanti cattivi evasori da punire, quanto piuttosto letto come il prodotto di un sistema in cui l’amministrazione è incapace di far rispettare le leggi e queste prevedono oneri tali da rendere non conveniente la conclusione di un gran numero di contratti di lavoro.

Posto che ho suggerito di ridurre il cuneo fiscale, come finanziare il minor gettito? In assenza di moltiplicatori magici grazie ai quali i tagli alle imposte si finanziano da soli, la risposta è sempre con una oculata riduzione della spesa pubblica, che purtroppo risulta difficilmente realizzabile poiché i politici che dovrebbero metterli in pratica, considerano la perdita di consenso individuale associata a questi provvedimenti, ben superiore ai benefici che ne trarrebbe il Paese. Stesso discorso per una riduzione del carico contributivo associata a un’accelerazione del passaggio al sistema contributivo per l’erogazione di tutte le pensioni.

Paga sicuramente di più in termini di consenso aizzare la rabbia popolare contro gli evasori malvagi e vagheggiare di maggiori introiti immaginari per un apparato statale tanto vorace quanto incapace di supportare chi crea valore; atteggiamento estremamente miope da parte di una classe politica e dirigente che non si rende conto di quale futuro l’attenda se insiste a strangolare chi produce per mantenerla in vita.

Articolo Precedente

Università: i Paesi emergenti ci superano anche per numero di laureati. E adesso?

next
Articolo Successivo

Debito pubblico, quando la tecnica ‘salasso’ degli economisti stregoni non basta

next