Il ricercato è straniero, ma l’attentato non c’entra con il terrorismo internazionale; nessuno degli organizzatori è ancora stato identificato, ma sono oltre dieci e lo avevano pianificato da più di un mese. A tre giorni dalla bomba che ha causato almeno 20 morti e 123 feriti a Bangkok, a giudicare dalla sequenza delle loro dichiarazioni contraddittorie gli investigatori thailandesi sembrano brancolare nel buio. In serata, due dei sospettati si sono consegnati alla polizia spiegando però di essere estranei, tanto che poco dopo sono stati rilasciati. Adesso si cerca “una donna con una maglietta nera“. “La esorto a farsi avanti per fornire informazioni” ha detto il generale Prawut Thavornsiri.

Ma al centro della caccia all’uomo c’è sempre il misterioso giovane dalla maglietta gialla, il cui identikit lo indica come “straniero” nonostante un volto difficilmente attribuibile a una precisa etnia. La polizia ha ricostruito altri suoi movimenti, riuscendo a rintracciare il conducente di tuk tuk che l’ha portato al luogo della strage e il mototassista con cui invece si è allontanato dopo aver abbandonato lo zainetto con l’esplosivo nel complesso del santuario induista Erawan. Ma del ragazzo, apparentemente sotto i trent’anni, non c’è ancora traccia. Gli inquirenti ipotizzano addirittura che possa essere già uscito dal Paese.

Con questi elementi in mano, la successione di “conclusioni” raggiunte dalle autorità oggi ha confuso ancora di più la situazione. Prima il capo della polizia, Somyot Poompanmuang, ha ipotizzato che il ricercato straniero abbia ricevuto il supporto di alcuni thailandesi. Poi, ha aggiunto che la non meglio identificata rete di attentatori – tra cui figurerebbe anche una donna – sarebbe composta da almeno dieci elementi, attivi da oltre trenta giorni. Infine, è arrivato un annuncio in diretta tv da parte di un portavoce del governo militare, con tanto di interprete inglese e cinese per rassicurare i turisti stranieri: “E’ improbabile che l’attacco sia opera del terrorismo internazionale”, ha detto.

Il che, per esclusione, porterebbe alla soluzione scartata all’inizio dagli investigatori: ossia che l’attentato sia opera di thailandesi, contrariamente alla convinzione più diffusa tra la popolazione. Se così fosse, si tratterebbe verosimilmente di una conseguenza di divisioni politiche interne, a opera del dissenso contro il regime o di una fazione di potere rivale, magari nell’esercito. Rimangono ovviamente supposizioni. Ma il timore di molti osservatori è che, in tal caso, la verità potrebbe non venire mai a galla. Dopotutto, la Thailandia ha una lunga lista di episodi criminosi mai davvero risolti, specie quando implicavano qualche personaggio influente. Gli inquirenti e la magistratura, da parte loro, sono considerati contigui alla politica, o perlomeno altamente influenzati da essa.

Anche in mancanza di insabbiamenti, la professionalità delle indagini viene messa in discussione da più parti. Già il fatto che l’Erawan fosse stato ripulito e riaperto in 36 ore aveva attirato critiche: come fare i rilevamenti necessari della scientifica con addosso la pressione di tornare il prima possibile alla normalità? Oggi una troupe della Bbc ha ritrovato delle schegge della bomba a 50 metri dall’esplosione, assieme a biglie metalliche: segno che dei dettagli chiave potrebbero essere sfuggiti. E più tempo passa senza progressi di rilievo, più calano le probabilità di fare luce sul mistero.

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