Il primo che parla male dei tedeschi, in materia di immigrazione, deve andare proprio a quel paese. Cioè deve leggere le cifre di quel paese, intanto: alla fine del 2015, il governo federale di Berlino avrà ricevuto 750mila richieste di asilo. E va bene che i tedeschi sono più ricchi e si sono comprati quasi tutti gli aeroporti della Grecia. E va anche bene che devono farsi perdonare le loro “colpe storiche” (noi le nostre – e simili alle loro – le abbiamo sempre digerite e dimenticate all’alba dell’8 settembre ‘43). E però, per restare al tema dell’esodo biblico di queste ore da Siria, mezza Africa, Pakistan, Iraq e così via, facciamo i raffronti: in Italia, nel 2014, sono stati 64mila i migranti che hanno fatto richiesta per restare. Dieci volte meno.

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Il punto è che parliamo del destino di migliaia di esseri umani, perché questo sono i migranti, e dunque sarebbe necessario uscire dai toni da bar sport a cui sono ridotti, anche in questa drammatica materia “umana”, il dibattito, la comunicazione e le parole della politica e della società italiane (Salvini dixit: “Tutti fora e i vescovi non rompano le palle ai sindaci”). Ragioniamoci, se ce la facciamo, perché questa non è Italia-Germania 4 a 3, prendi-e-porta-a-casa-tié!

In due parole, la situazione è questa: l’Italia (sindaci siciliani, calabresi e pugliesi, con l’aiuto determinante del volontariato laico e della Chiesa) accoglie nei porti questa marea umana montante; che poi la Germania ospita. Spesso a vita. Questo dice il raffronto delle cifre Germania-Italia sulle richieste di asilo.

La “perfida” e certo ricca Germania – che del resto ora progetta di rivedere le sue leggi in materia – quando ospita i migranti ha uno statuto formale di accoglienza che onora la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Non è il migliore dei mondi possibili e nella società tedesca certo ci sono anche i razzisti, ma per fortuna le leggi di garanzia dei diritti umani come questa, sono frutto virtuoso del bisogno della maggioranza dei tedeschi di “farsi perdonare” il buio della loro recente storia. Chi arriva in Germania, da sud, ovest o estremo est, e ottiene asilo, ha – quasi – tutto quello che ci vuole per vivere: assistenza sanitaria, alloggio, scuole per i figli. Permesso di residenza. Ci sono perfino progetti di avviamento a lavori socialmente utili.

In Germania, chi arriva, può sopravvivere e se mette su famiglia, i suoi figli nasceranno tedeschi: lì c’è lo “ius soli”. In Italia, lo Stato non censisce chi arriva e neanche li identifica bene. Li lascia vivere. Certo, ora arrivano in tanti; i pm spesso arrestano scafisti e delinquenti, ma bisogna far fronte a famiglie, bambini e occuparsi di chi scappa da guerre e discriminazioni. Come?

Nelle città siciliane, questa estate, i sindaci si sono organizzati così (perché sia chiaro dove vanno a finire le persone di cui noi dell’informazione parliamo solo quando sbarcano nei porti dopo viaggi della paura e della speranza): a Palermo e Catania, i comuni hanno le “pezze al culo” ma hanno messo su un sistema di accoglienza basato sul volontariato laico e cattolico, forze dell’ordine, croce rossa e protezione civile, e fondato sul sostanziale aiuto della Chiesa cattolica che fornisce strutture. Ecco queste cose (accoglienza, vitto, alloggio, prima formazione, vaccinazioni e assistenza sanitaria, qualche timido progetto di avviamento al lavoro) le fanno i sindaci con i privati e la Chiesa, e la supervisione della prefettura.

Qui, al contrario della Germania, lo Stato non c’è o c’è pochissimo. Raccoglie i barconi in mare e li porta a terra. Cosa buona e giusta. Poi, fine; l’80 per cento di chi passa da qui, dopo lo sbarco, scappa verso la clandestinità o un treno per la Germania o la Svezia. La realtà che il “dibattito” italiano di queste ore ignora è questa: i sindaci in Sicilia e Calabria, “le palle” – per restare alla arguta dichiarazione di Salvini – se le fanno rompere volentieri (perché il contrario sarebbe voler dire ai migranti: “tornate in mare e annegate pure!”). E poi quest’altra, che anche un ateo onesto non può non ammettere: i vescovi (e i sindaci del sud) suppliscono al vuoto lasciato dallo Stato italiano e dall’Europa in materia di migrazione.

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