Il movente della “concorrenza sleale” non convince gli inquirenti che indagano sul duplice omicidio di Francesco Seramondi e della moglie Giovanna Ferrari, freddati nella loro pizzeria di via Val Saviore, periferia di Brescia. Piuttosto si punta sull’usura, “un’ipotesi su cui stiamo lavorando” ha confermato il questore Carmine Esposito.

La Squadra mobile guidata da Giuseppe Schettino e il sostituto procuratore Valeria Bolici hanno tra le mani la confessione piena del presunto killer e del suo complice Sarbjit Singh, indiano di 33 anni. Le indagini sono arrivate ai due grazie a un’impronta digitale lasciata da Singh sulla vetrata della pizzeria. Muhammad Adnan, 32 anni pachistano – che subito dopo gli spari si faceva intervistare dalle tv – titolare della pizzeria “Dolce & salato” comprata da Frank e a pochi metri da quella delle vittime, ha messo a verbale di aver ucciso Seramondi “perché lavorava solo lui” tra il popolo della notte che si fermava per un trancio di piazza o una brioche dopo una serata. “Davanti al mio negozio – ha continuato con il suo italiano stentato – aveva mandato gli spacciatori e i drogati, così io non facevo affari e non riuscivo a pagare i debiti”. Troppo poco per spiegare il tiro a segno andato in scena nella pizzeria da Frank la mattina dell’11 agosto: un colpo di fucile a canne mozze sparato in pieno volto a una donna di 65 anni e altri tre contro il marito, ferito, rincorso e finito mentre era a terra. Prima che Adnan risalisse in sella allo scooter e svanisse insieme a Singh, assoldato dal pachistano con la promessa di dargli 15mila euro a lavoro finito (gliene consegnerà solo 1.500). “Non mi accontento dei moventi forniti dagli assassini”, ha tagliato corto il procuratore generale Pierluigi Maria Dell’Osso.

C’è dell’altro dietro la mattanza di “da Frank”. Ne sono convinti gli investigatori. E per scoprire di cosa si tratta bisogna partire dal tesoretto trovato in casa dei coniugi Seramondi, di alcuni parenti e del figlio. Solo a lui ne sono stati trovati più di 100mila. Ma Marco Seramondi si è trincerato dietro al silenzio: “Non dico nulla, chiedo solo che venga rispettato il mio dolore”. Poco meno di ottocentomila euro in contanti, come riporta il Corriere della Sera. Tanti soldi di cui non vi è traccia nei libri contabili o nei conti bancari intestati alle società riconducibili a Frank che adesso sono sotto sequestro. Tanti soldi di cui ora si cerca di capire la provenienza che non è stata chiarita neppure dal figlio della coppia né dai parenti.

“Una cifra spropositata – rivela una fonte a TgCom 24 – che non sarebbe compatibile neanche con la consuetudine di alcuni imprenditori di conservare denaro frutto di commercio in nero“. “Sono necessari ulteriori accertamenti”, ha dichiarato il procuratore Tommaso Buonanno. Per questo i detective della Mobile con l’aiuto degli specialisti della Guardia di Finanza stanno scandagliando tutti le relazioni e gli affari delle vittime. Al vaglio degli inquirenti ci sono poi i passaggi di mano del locale “Dolce & salato”, oggi di proprietà del presunto killer pachistano, ma che in passato era stato di Seramondi. Lo aveva venduto ad un suo ex dipendente pachistano che, nell’arco di un solo anno, lo aveva successivamente ceduto al connazionale.

C’è anche un altro elemento che poco ha a che fare con la presunta “concorrenza sleale” di Seramondi: l’agguato contro il dipendente albanese di Frank ideato e messo in atto – come lui stesso ha raccontato – proprio da Muhammad Adnan. Colpi di pistola sparati da un’auto in corsa contro il pizzaiolo 42enne che a luglio è stato ferito alle cinque di mattina mentre si trovava a bordo della sua macchina per andare a lavorare. A insospettire gli investigatori fu l’atteggiamento che il 42enne tenne quando gli andarono a chiedere che idea si era fatto su quelli spari. Scambio di persona, sostenne. Mentre Seramondi rimase sul vago. L’ipotesi è che i due sapessero bene cosa si nascondeva dietro a quei proiettili. E oggi quell’agguato viene letto come una sorta di prologo del massacro di “da Frank”.

Ma oltre al movente, gli inquirenti devono scoprire dove il reo confesso Muhammad Adnan si sia procurato il fucile a canne mozze con cui sono stati fulminati i Seramondi. L’arma risulta rubata ed è stata ritrovata in un fossato poco distante dalla pizzeria. Il sostituto procuratore Bolici ha nominato un perito per effettuare un’analisi sul fucile e accertare che sia effettivamente quello che ha sparato in via Val Saviore.

Gli effetti personali dei due fermati sono stati posti sotto sequestro. I due presunti assassini domattina alle 9.30 nel carcere di Brescia compariranno davanti al gip per l’interrogatorio di convalida del fermo. “Ho incontrato i miei assistiti anche oggi in carcere e come un mantra ripetono la stessa versione dei fatti: che hanno ucciso per concorrenza” ha ribadito l’avvocato d’ufficio dei due, Claudia Romele. Gli investigatori hanno sempre parlato dei due come gli esecutori materiali, lasciando intendere che potrebbero esserci dei mandanti.

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