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È  giusto sottrarre un figlio appena nato alla madre? E se la madre in questione è reclusa in un carcere e il bimbo è figlio di una coppia di amanti che hanno sfigurato con l’acido l’ex compagno di lei? Ma soprattutto, una criminale può essere una madre amorevole? Sta facendo discutere la decisione di togliere il bambino appena nato a Martina Levato, la donna condannata a 14 anni per aver sfigurato con l’acido l’ex fidanzato insieme al compagno.

Un pronunciamento che apre molti interrogativi e che fa riflettere sulla funzione riabilitativa più che repressiva e coercitiva delle carceri, sui diritti delle persone recluse e soprattutto su quelli dei figli dei detenuti e delle detenute. Sono stata un paio di volte a Rebibbia femminile, dove esiste un reparto zero-tre, ovvero quella zona d’ombra tra il carcere e la vita, destinata alla detenute madri con i figli piccoli. Zero-tre è un modo per indicare un confine duro, il limite d’età oltre al quale una madre che ha commesso un reato non ha più diritto a stare col figlio. Se spostiamo il punto di vista, e diciamo che è il limite oltre al quale un figlio a ha più diritto a stare con la madre, tutto cambia.

È difficile entrare nel merito di una sentenza così radicale. Difficile senza conoscere nel dettaglio le motivazioni, ma è impossibile non definirla una decisione estrema, una scelta che fa male, inauspicabile per chiunque. Così come è impossibile affermare con certezza che una donna, benché criminale, non possa essere una madre amorevole. Sicuramente questa decisione rimette in luce il grande tema dei bambini in carcere, degli Icam (gli istituti di custodia attenuata per madri detenute che dovrebbero essere la vera alternativa al carcere per mamme e bambini) e dei piccoli sottratti alle madri detenute dopo i tre anni. Perché è innegabile che tra l’essere una detenuta e l’esserlo da madre c’è una differenza.

C’è una responsabilità doppia dello Stato nei confronti non di una ma di due persone, la seconda delle quali è innocente. C’è una storia che pesa sulle spalle di un bambino appena nato e che qualcuno sta riscrivendo per lui, ma non è detto nel modo migliore. C’è un diritto innegabile alla maternità, che si costruisce in nove mesi, si rafforza al momento della nascita e diventa naturale e innegabile con il latte materno che arriva il terzo giorno dopo il parto. C’è un insieme di fattori da prendere in considerazione che vanno al di là delle sbarre, con cui è impossibile non fare i conti, a prescindere dalle sentenze. Ci deve quindi essere un’alternativa, una via di mezzo tra il tutto o il niente, tra la sottrazione totale alla nascita e la banalizzazione del caso.

I figli delle assassine continueranno a nascere ed è quindi giusto interrogarsi su quale sia la possibilità migliore, per garantire un diritto naturale, riconsegnare al carcere la sua funzione riabilitativa ed evitare che un bambino, già segnato dalla storia materna, subisca altri danni irreparabili. In questa vicenda , in primo luogo, sarà necessario non perdere il punto di vista del bambino, chiamato così piccolo a rispondere di un fatto che non gli appartiene, ribattezzato dai media “il figlio dell’acido”, etichettato sin dalla nascita come fosse una parte del problema, anzi una delle cause scatenati e chiamato in ogni caso a scontare una pena con cui già sta facendo i conti.

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