Al tramonto, oltre gli scogli dei Balzi Rossi dove il cielo e il mare si toccano, due ragazzi francesi fanno sci nautico, sembrano divertirsi. Sulla riva, due ragazzi africani in mutande corrono, in un attimo si tuffano in acqua per cercare un po’ di fresco. Andrea Satta, cantante della band Têtes de Bois, ha questa immagine in testa da quando è tornato da Ventimiglia. Lì, sui massi di Ponte San Ludovico, tra la scogliera e il confine con la Francia, la band, insieme a Vauro, lo scorso 21 luglio è andata a raccogliere il canto di protesta dei migranti bloccati da quando l’Eliseo ha chiuso il confine con l’Italia. Si intitola We are not going back, noi non torniamo indietro. I Têtes de Bois, sulle parole dei migranti, hanno inciso la musica della ballata che si può vedere in anteprima sul sito de ilfattoquotidiano.it.

Satta, che cosa ha visto a Ventimiglia?
La sintesi perfetta delle contraddizioni del nostro tempo. A due passi dalla Costa Azzurra ci sono quattro ragazzi apparentemente uguali. Due di loro sono lo specchio dell’Europa del consumismo, gli altri quella dei diritti umani negati. Mentre andavamo in autostrada a Ventimiglia, ci siamo trovati in Francia senza volerlo perché abbiamo sbagliato strada; cinque chilometri prima della frontiera la mia compagnia telefonica mi ha avvertito con un sms che stavo cambiando Paese. Non è un paradosso?

Sul confine italo-francese, le due patrie dei diritti, solo ai migranti, che scappano dall’orrore della fame e della guerra, è proibito di superare quattro sassi.
We are not going back, noi non torniamo indietro. Come è nata questa canzone?
È un inno alla libertà nato da una manifestazione spontanea dei ragazzi bloccati sul confine, mi hanno fatto tornare alla mente gli schiavi americani che cantavano sperando in un giorno migliore. Le parole sono di Ibrahim, un ragazzo del Ghana che non ho conosciuto perché è riuscito a salire su un treno per Nizza. Quando siamo arrivati a Ventimiglia, con Vauro e Angelo Pelini, il tastierista della band, almeno 100 migranti l’hanno risuonata per noi. Per scandire il ritmo hanno usato i sassi battuti sulle transenne, noi abbiamo messo il megafono e la fisarmonica. Adesso il “gospel dei migranti” è diventato una canzone, abbiamo scritto la musica di getto.

L’Europa sta tornando indietro sul terreno dei diritti?
È nata per abbattere le frontiere, adesso costruisce muri. Così tradisce le sue radici, la sua vocazione per lo scambio tra culture diverse. I ragazzi che ho conosciuto a Ventimiglia sono tutti molto giovani, hanno affrontato viaggi lunghi e difficili. Mi hanno raccontato di aver patito la fame, per giorni hanno camminato scalzi. Per noi, che abitiamo il lato più ricco del mondo, è inimmaginabile arrivare in un posto e trovare una porta chiusa. Sono stati fermati a un passo dal sogno della libertà di costruirsi un futuro migliore: è come essere nel deserto e avere tanta sete; qualcuno ti soccorre con un bicchiere d’acqua, ma prima di dartelo lo vuota davanti ai tuoi occhi e ti dice che non è per te.

E l’Italia?
Il nostro ruolo in questa partita è scritto nella nostra geografia, dobbiamo farci ambasciatori in Europa e nel mondo della cultura dell’accoglienza, diventare autorità garanti del diritto di movimento.
(intervista di Caterina Minnucci)

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