Guelfo Guelfi

C’è un episodio che è entrato nella leggenda del Sessantotto pisano. Siamo nel febbraio, Parigi non è ancora esplosa, a Pisa arrestano due studenti accusati di aver schiaffeggiato Mario Bonadio, futuro medico e docente, allora presidente dell’Oriup, organismo degli studenti dell’ateneo. In carcere, al Don Bosco finisce lui, Guelfo Guelfi, 70 anni, nuovo consigliere d’amministrazione della Rai: “Chi è?”, “Uno studente”. “Ci mancavano solo loro”, disse la guardia anziana. “Come ti chiami?”, “Guelfo Guelfi”. Alzò gli occhi: “Sei mica parente di quel Guelfi, zoppo, che fa la scuola guida?”. “È mio padre”. “È registrato qui anche lui. Il comunismo è come la sifilide, si trasmette di padre in figlio”. Gli arresti provocarono scontri alla stazione, mai visti prima. La manifestazione per il compagno Guelfo fu l’inizio del Sessantotto.

Ne è passata di acqua sotto i lungarni. E Guelfi ormai viaggiava per uffici pubblici da parecchi anni, con la laurea presa in fretta e furia per lavorare alla corte di Renzi. Ma retribuito. Sempre. Anche bene. Gratis, ha fatto sapere, non lo fa il consigliere d’amministrazione della Rai. E al momento, visto che è pensionato, per lui non sarebbe prevista retribuzione.

Duro, d’altronde, lo è sempre stato. Il giovane Guelfi, negli anni, si guadagnerà anche la stima e l’amicizia di lui, il capo di Lotta continua, Adriano Sofri, quello che gira ancora sui lungarni con un cappellino che pare Lenin. Non sappiamo quanto Sofri, ascoltatissimo dal presidente del Consiglio, c’entri con la nomina di Guelfi, ma il dietrologo di professione potrebbe anche dire che così è ripagato l’incarico sfumato per l’ex leader al ministero della Giustizia. Guelfi per Sofri è un fratello, più che un amico. È la persona che, insieme al suo ex socio, Davide Guadagni, è stata vicina a Sofri durante tutti gli anni di carcere e dall’inizio della vicenda giudiziaria. Il primo a chiamare la moglie, Randy, il primo a cercare l’avvocato Alessandro Gamberini, la persona alla quale ti dovevi rivolgere se volevi un’intervista con Sofri in carcere. E soprattutto il primo che si precipita a testimoniare che Sofri con l’omicidio del commissario Luigi Calabresi non c’entra nulla e che Leonardo Marino è un bugiardo.

In Lotta continua faceva già il marketing. Quando non accadeva di fare a botte con la polizia quelli di Lc avevano bisogno di creare appeal tra gli altri giovani sparpagliati nei gruppi. E se loro diventarono i primi e più numerosi merito ce l’ha anche Guelfi.

La sera, invece si trovavano da Salvini, un bar sul lungarno: Adriano, i fratelli Brogi, Roberto Morini, Davide Guadagni, Franco Carratori, Ovidio Bompressi. Quello stesso dicembre, sempre nel 1968, alla Bussola, quando la polizia spara a Soriano Ceccanti, rimasto paralizzato, c’è anche Guelfi. E soprattutto c’è l’anno successivo, quando a Lucca arrestano Chet Baker, il trombettista. In Versilia per un concerto, lo pizzicano con la droga che in realtà è un analgesico. E Guelfi, assieme ad altri compagni di allora, passa le serate sotto al carcere in attesa dei cinque minuti durante i quali, dalla cella, Baker può suonare la tromba. Tre mesi memorabili che l’ ex pm Domenico Manzione, anche lui oggi al governo, racconterà in un libro.

Tutto torna, nel giglio magico. E Renzi con Guelfo aveva un debito: quando lasciò Firenze, lui doveva diventare il numero uno della comunicazione della Regione (era già direttore creativo di Florence Multimedia, società in house della Provincia di Firenze voluta da Renzi), ma Enrico Rossi gli disse no, grazie. E così resta in attesa. Alla prima occasione sa che Renzi, come Sofri, non dimentica gli amici. È arrivata la Rai. Ammesso che lo paghino.

Dal Fatto Quotidiano del 7 agosto 2015 

Articolo Precedente

Web, fermiamo i ‘linciaggi 2.0’, c’è in gioco il futuro della comunicazione

next
Articolo Successivo

De Luca, ovvero quando il Potere odia la propria immagine allo specchio

next