Libia guerra 675

Abdel Moez Banoun, blogger, è stato rapito oltre 300 giorni fa. Aveva pubblicato e promosso proteste contro la presenza delle milizie armate nella capitale Tripoli.

Nasser al-Jaroushi, giudice, ha fatto la stessa fine dopo aver aperto due inchieste, sull’uccisione dell’attivista per i diritti umani Salwa Bugaighis e sul narcotraffico.

Nella totale assenza di legge, con due distinte amministrazioni statali e le milizie a fare da padrone, in Libia i sequestri di persona da parte dei gruppi armati sono all’ordine del giorno.

Secondo un rapporto di Amnesty International, che cita i dati della Società della Mezzaluna libica, negli ultimi 12 mesi sono scomparse almeno 600 persone, la sorte di 378 delle quali rimane ignota. Si tratta, nel primo come nel secondo caso, di numeri al ribasso.

Tra i rapiti vi sono attivisti, pubblici funzionari, personale delle ambasciate, migranti, lavoratori stranieri, appartenenti alla minoranza tawargha, operatori umanitari e semplici cittadini diventati obiettivo dei gruppi armati solo per la loro regione di origine, per la loro attività o perché sospettati di simpatizzare per una parte politica o un gruppo rivale.

In molti casi, i sequestrati vengono trattenuti fino a quando non viene pagato un riscatto o diventano merce di scambio per ottenere il rilascio di persone rapite dagli avversari. Nell’uno o nell’altro caso, il loro destino è comune: la tortura e non poche volte la morte, coi cadaveri ritrovati sul ciglio delle strade.

Tra i sequestri più recenti, quelli di tre operatori umanitari – Mohamed al-Tahrir Aziz, Mohamed al-Munsaf al-Shalali e Waleed Ramadan Shalhoub – rapiti il 5 giugno mentre stavano portando aiuti nelle città del sud-ovest della Libia colpite dal conflitto.

Non vanno dimenticati gli italiani rapiti il 20 luglio a Mellitah, che mentre scrivo (venerdì 7 agosto) sono ancora nelle mani dei loro sequestratori.

Il dialogo politico, promosso dalle Nazioni Unite con l’obiettivo di porre fine alla violenza e giungere a un accordo per la costituzione di un governo nazionale, si propone anche di affrontare i problemi dei sequestri e delle detenzioni illegali. Il modo più efficace per esercitare pressioni sui capi dei gruppi armati dev’essere però ancora trovato.

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