Un filosofo marxista capace di ridere, rallegrarsi, diventare padre a 70 anni, ma riuscire a mantenere la rigidità e i nervi saldi. Non fu facile fare il sindaco per Renato Zangheri, andato via oggi a 90 e, maledetto Alzheimer, convinto di non esserci mai stato. Avesse aperto ai ricordi forse oggi racconteremo un’altra città, ma era gentile, carino, anche dal telefono della sua casa di Imola – cellulare non se ne parli, ma era sull’elenco telefonico, Zangheri professor Renato – “io non mi ricordo niente”. Forse, ma la medicina risposta non la sa dare, non si è accorto che prima di lui è andata via sua figlia, e sopravvivere a un figlio è una di quelle ferite che possono costringerti al muro per il resto dei giorni.

Zangheri arrivò sindaco di Bologna nell’anno di poca grazia del 1973. Nella notte tra il 3 e il 4 agosto dell’anno successivo gli toccò la prima strage, il primo funerale: quello del treno Italicus, una bomba piazzata dai neofascisti sotto il sedile di una carrozza, su ordine, si presuppone, dei servizi segreti deviati. 12 morti, 48 feriti, nessun colpevole. In piazza, quando c’erano le commemorazioni lo contestavano, ma Zangheri, che era uomo mite, sapeva che era il minimo prendersi i fischi, individuare un responsabile che non c’è. Poi iniziarono gli studenti, nei cortei cantavano “Zangherì, Zangherà”, o qualcosa del genere. Lui perdeva il sorriso, ma se ne faceva carico. Che poi era misterioso anche il motivo d’accanimento: Zangheri, che arrivò a fare il sindaco dopo Guido Fanti, si insediò con la fama di professore universitario grigio e rigido, ma in realtà non era nessuna delle due cose.

Nonostante fosse di Imola, che Guccini collocherebbe comunque sulle cosce di Bologna, fu il primo in Italia a riconoscere uno spazio pubblico alla comunità gay, il Cassero di Porta Saragozza. Lo fece, ovviamente, contro quello che il partito centrale e, in qualche modo, l’anno successivo, quando si dovette scegliere per la successione di Enrico Berlinguer a lui, che era uno dei due candidati, venne preferito Alessandro Natta. Per una serie di motivi: il primo perché dalle parti di Botteghe Oscure spiegavano, in termini molto pratici, che gli emiliani dovevano fare soldi e che la politica l’avrebbero fatta loro, ma soprattutto perché il professore, nei 12 anni di sindaco di Bologna era cambiato. Aveva cambiato in autonomia e riformismo. Meglio non rischiare e puntare su un nome alla Natta, che grigio lo era rimasto.

Studenti, piombo, la gestione di una città che cresceva, ricca, accidenti se era ricca. E le stragi. A partire da quella di Bologna, la mattina del 2 agosto 1980, ancora senza mandanti (lo Stato deviato, ancora una volta), ma con due esecutori materiali, Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, fascistelli di borgata che sapevano ammazzare. Fu la ferita più grave e gravosa da sopportare. Le spalle diventate d’un tratto fragili di Zangheri ressero perché si trovò accanto un presidente come Sandro Pertini, che lo reggeva in senso letterale. Altrimenti sarebbe crollato. Ma di Pertini non ce ne sarebbero stati più,
Zangheri resse e, ancora una volta contro il partito, ma consigliato da Pertini, chiamò nella prima commemorazione, Carmelo Bene a recitare dalla Torre degli Asinelli. 150, duecentomila persone, e una Lectura Dantis che passò alla storia. Complice il vento, che entrava nel microfono e diventava una cosa sola insieme al conte Ugolino e lui, Carmelo. Che ne combinò una delle sue: un assessore democristiano saltò sui banchi dell’opposizione quando sentì della commemorazione dalla torre. Zangheri andò per la sua strada, ma alla fine l’assessore salì i gradini della torre, a fine spettacolo, per complimentarsi con l’artista. Che rispose alla Carmelo bene: “Sparisca dalla mia vista, altrimenti sarò costretto a gettarla giù dalla torre a calci in culo”.

E queste sono le cose che conosciamo. Bisognerebbe invece che la memoria lo avesse accompagnato per capire come fece a tenere in piedi una città che aveva nella Chiesa e nella Massoneria, gli altri due poteri con i quai il sindaco comunista doveva mediare. Con i cardinali non si fecero mai fotografare inseme, ma si vedeva, lo dovevano fare necessariamente, e loro aggiungevano il rispetto.

Ebbe in Renzo Imbeni, forse, un successore molto simile a lui, ambienti universitari, anche lui sorridente, colto, bolognese da parlare il dialetto, ma anche nella memoria storica è rimasto il sindaco, quasi più di Dozza e Fanti, i sindaci del boom economico. Lui, Zangheri, lo fu delle stragi, ma senza una guida di quella statura Bologna ne sarebbe uscita malconcia più di quanto non accadde. Arrivederci sindaco, e ci lasci la convinzione che il non ricordare fu solo volontà sua e non un fatto clinico. Le ferite a volte guariscono così.

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