I giornali e i retroscenisti ne sono convinti: per il ruolo di direttore generale della Rai, Matteo Renzi farà il nome di Antonio Campo Dall’Orto, un passato a La7 (con risultati discutibili) e a Mtv, presenza fissa alla Leopolda. Ecco il ritratto del possibile dg

Sette anni fa, la carriera di Antonio Campo Dall’Orto sembrava finita, in queste ore attende la nomina a direttore generale della Rai renziana. Quando nel 2008 la Telecom cambia azionisti e top manager, da Marco Tronchetti Provera a Franco Bernabè, anche nella controllata Ti Media, cioè La7 finisce un’era. A Campo Dall’Orto vengono offerte due opzioni: andarsene subito con una buonuscita minima immediatamente o provocare lo scontro totale con i nuovi padroni, anche legale se necessario. Campo Dall’Orto se ne va, si sposta nella provincia più lontana dell’impero, Mtv. Nei bilanci di Ti Media si trovano i numeri dietro questo divorzio. Nel 2007, Campo Dall’Orto ha una retribuzione complessiva di 1,2 milioni. L’anno successivo prende 35 mila euro come consigliere d’amministrazione, 502 di “bonus e altri incentivi”, 1,9 milioni come incentivo all’esodo. In totale 2,4 milioni, poco come congedo da quello che avrebbe dovuto essere il terzo polo televisivo. Ma le perdite erano pesanti: 103,6 milioni di rosso nel 2007, 104 nel 2008.

La nuova gestione di La7 nel giro di un anno dimostra che si poteva fare meglio: il rosso scende a 67,6 milioni. Ma il cambio più rilevante si nota nell’Ebitda, cioè quello che misura l’andamento della gestione caratteristica dell’azienda: con Campo Dall’Orto era negativo di 42,5 milioni, con Gianni Stella solo di 7,3. Campo Dall’Orto non commenta, “io mi concentro sempre sul domani”, dice da Liverpool dove si tengono gli Mtv Music Awards. La televisione musicale è residuale come numeri, e un passo indietro di dieci anni per il manager di Conegliano che ha studiato ambizione al master di Publitalia e aveva lanciato Mtv in Italia alla fine degli anni Novanta. Ma tutto serve. Ci sono intere pagine del bilancio di TI Media del 2009 dedicate alla sua nomina come advocate (una specie di ambasciatore) delle Nazioni Unite per aver mandato in onda una serie di concerti dedicati all’ambiente.

A La7 i giornalisti non esultano per l’arrivo di Gianni Stella, visto che debutta chiedendo il licenziamento di 25 giornalisti. Ma neppure rimpiangono Campo Dall’Orto. La vicenda di Daniele Luttazzi aveva chiarito il suo stile: il programma del comico venne chiuso all’improvviso, pare per uno sketch non gradito su Giuliano Ferrara. “Ha deciso e mi ha dato la notizia mandandomi un sms: non mi sembra molto corretto”, dice all’Ansa Luttazzi l’8 dicembre 2007. Non solo: il telegiornale di La7, allora diretto da Antonello Piroso, dimentica di dare la notizia. Il comitato di redazione, la rappresentanza sindacale dei giornalisti, protesta.

Campo Dall’Orto si rifugia in Viacom International, la società cui fa capo il marchio originale Mtv e attiva in Italia con una sua controllata. Quando lascia l’azienda nel 2013, il presidente Bob Bakish dice che “recentemente aveva acquisito sotto la sua guida anche lo sviluppo del business in Africa e nei territori del Medio Oriente”. Nessuno sa esattamente cosa faccia, Viacom è un gruppo complesso e articolato, ma lavorare per gli americani è sempre apprezzato. E Campo Dall’Orto continua a frequentare la politica italiana forte di questo suo profilo internazionale, i bilanci in rosso di La7 sono dimenticati. Il manager non manca di farsi vedere a VeDrò, la convention di Enrico Letta, e non si perde una Leopolda, quella fiorentina di Renzi che diventerà il serbatoio per la squadra dirigente del renzismo.

Ricorda di aver “seguito l’avventura politica di Obama” per una questione di “affinità”. Pur essendo considerato un leader, uno carismatico, legge i suoi interventi dagli appunti, con gli occhiali sulla punta del naso. “Matteo ha fatto e fa un lavoro enorme, ha messo dentro al camper le speranze di milioni di persone che non volevano la solita alternativa che rassicura rispetto al fatto che non cambierà niente e il populismo”, dice nel 2012 in uno spot per le primarie di Renzi (perse) di quell’anno. Il suo grado di renzismo è tale che nel 2014 ottiene una poltrona nel cda di Poste Italiane, sul cui business non risulta abbia competenze specifiche. E ora gli tocca la Rai.

da Il Fatto Quotidiano del 4 agosto 2015

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