Disperse nel mare magno dell’attività parlamentare; annunciate, presentate e poi ancora annunciate e presentate come nuove. Sono i disegni di legge desaparecidos, che da mesi, anni o decenni occupano le cronache politiche senza mai tradursi in realtà. Qui di seguito ne elenchiamo alcuni a costo zero o quasi, di quelli cioè per cui non si può nemmeno dire che non ci sono i soldi: finiscono sul binario morto per disattenzione, forse, o più probabilmente per non irritare questo o quel partito, questa o quella corporazione. “Primo sopravvivere”, diceva Giulio Andreotti.

Tortura
Se ne parla da sempre e almeno dal G8 di Genova 2001 dovrebbe essere una priorità per qualunque governo. Tanto più che il 7 aprile la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che quella della scuola Diaz di Genova fu tortura e ha condannato l’Italia perché non punisce il reato. Eppure, nonostante l’Italia abbia ratificato nel 1988 l’apposita convenzione Onu, il reato nel codice italiano non c’è. I ddl, infatti, naufragano di legislatura in legislatura: anche stavolta, quando sembrava tutto fatto, il testo arrivato in Senato per il via libera definitivo, è stato modificato il 7 luglio con un compromesso al ribasso (la tortura sussiste solo nel caso di “violenze reiterate”, e quando si produce una sofferenza psichica “verificabile”). Il pm simbolo del G8, Enrico Zucca, ha definito il testo – a cui le forze dell’ordine si oppongono strenuamente – “inutile” perché “non punirebbe la Diaz”. Ora, ammesso che Palazzo Madama lo approvi, dovrà tornare alla Camera in autunno, quando il Parlamento sarà impegnato con la Finanziaria.

Unioni civili
Oggi, in Europa occidentale ci sono solo due Paesi che non hanno una legge che regolamenti il matrimonio o le unioni civili tra persone dello stesso sesso: Italia e Grecia. Ormai se ne discute da 30 anni. La prima proposta di legge fu presentata nel 1988 dalla deputata socialista Alma Agata Cappiello: mai discussa. L’8 febbraio 2007 il ministro della Famiglia Rosy Bindi e quello delle Pari Opportunità Barbara Pollastrini fecero approvare dal Cdm i “Dico” (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi): riconoscimento delle coppie omosessuali ed eterosessuali non sposate, e nuovi diritti per la successione, la pensione e i contratti di affitto. Poca roba, ma tanto bastò per una manifestazione oceanica di cattolici contrari: il Family day a Roma (12 maggio 2007). Non se ne fece nulla. In tempi più recenti, sotto Enrico Letta solo chiacchiere, mentre Matteo Renzi ne ha promesso l’approvazione a più riprese fin dalla campagna per le Primarie 2013. Oggi in Parlamento c’è – fermo almeno fino a settembre – il ddl Cirinnà. Due settimane fa il premier ha promesso una soluzione entro l’anno, ma l’aveva fatto anche nel 2014. Non è neanche una questione di costi, visto che il Mef ha chiarito che per garantire la reversibilità della pensione bastano sei milioni l’anno. E la legge sull’omofobia? Approvata alla Camera a settembre 2013, è dispersa in Senato.

Ius soli
Cécile Kyenge è stata massacrata da giornali e partiti della destra quando, appena nominata ministro per l’Integrazione da Enrico Letta, spiegò che la sua priorità sarebbe stata il passaggio dallo ius sanguinis (cittadinanza se figlio di un cittadino italiano) allo ius soli (cittadinanza per nascita) temperato: in sostanza si diventa italiani se si è vissuti qui fin da piccoli facendo le scuole e tutto il resto. Se n’era già parlato nel governo Prodi del 2006-2008, ma ad oggi niente legge. E dire che il tema è sembrato assai caro a Matteo Renzi. Seguite la cronologia. Nel marzo 2012, da sindaco di Firenze, firmò una legge di iniziativa popolare sul tema. “Chi nasce in Italia, deve essere cittadino italiano, il parlamento approvi lo ius soli”, diceva a giugno 2013. Poi, a fine novembre, candidato alla segreteria Pd: “Ci sono battaglie che vanno fatte, lo ius soli è una di queste”. E ancora, a gennaio 2014: “Sullo ius soli non ci tarperanno le ali”. A febbraio, nel discorso di insediamento da premier alla Camera: “Lavoreremo per ottenere un compromesso sull’immigrazione”. Maggio: “La soluzione che individueremo entro fine anno sarà un criterio che consenta lo ius soli legato ad un ciclo scolastico”. Siamo al gennaio 2015: “Dopo le riforme costituzionali, toccherà allo ius soli temperato”. Ad oggi siamo al testo base presentato in commissione, peraltro da una deputata della minoranza del Pd, Marilena Fabbri.

Conflitto d’interessi
In teoria la legge ci sarebbe. In pratica è quella, approvata nel 2004, che porta il nome dell’ex ministro Franco Frattini: prevede – caso unico in Europa – che la punibilità per il conflitto d’interessi arrivi solo nel momento in cui subentra un conflitto, non se è già esistente all’assunzione della carica. Il tema era già nell’agenda di Mario Monti, ma non se ne fece nulla visto che Berlusconi era in maggioranza, poi a marzo 2013 una proposta di riforma fu presentata dal deputato Pd Gianclaudio Bressa, seguita da altre quattro di Pd, M5s e Sel. Un anno e mezzo dopo, i testi sono stati affossati tutti insieme. Il 7 maggio scorso poi, euforica per aver incassato il sì all’Italicum, il ministro Maria Elena Boschi annunciò in pompa magna: “Il conflitto di interessi lo porteremo in Aula già nelle prossime settimane”. Due settimane dopo fu più precisa: “A giugno alla Camera”. Il 16 luglio – stando a quanto trapela – si sarebbero conclusi i lavori del comitato ristretto incaricato di elaborare un testo. Quale? Dio solo lo sa.

Depistaggio
Il 24 luglio, Paolo Bolognesi, deputato Pd e presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna, ha ricordato le rassicurazioni ricevute negli ultimi due anniversari da Graziano Delrio e Giuliano Poletti sui risarcimenti ai familiari e sull’introduzione del reato di depistaggio: “Nessun governo si era mai permesso di venire il 2 agosto a Bologna a far delle promesse senza mantenerle. In trentacinque anni non è mai successo”. Oggi, nessun esponente del governo parlerà nella piazza antistante la stazione, per ricordare i 35 anni della strage. Un ddl peraltro – e Bolognesi ne è stato relatore – esiste ed è pure passato alla Camera: introduce il reato di depistaggio con le aggravanti se commesso da un pubblico ufficiale. Solo che dal Senato, dove sonnecchia da un anno, non uscirà tanto facilmente, anche se l’iter è ripartito giusto in questi giorni. L’aria del 2 agosto, d’altronde, sembra svegliare il governo: giusto venerdì i superstiti delle stragi rimasti invalidi all’80% si sono visti riconoscere la pensione già prevista da una legge del 2004.

Prescrizione
A novembre 2014, all’indomani della sentenza della Cassazione sul disastro Eternit in Piemonte, Matteo Renzi prometteva: “Mai più prescrizione”. Deve essersene dimenticato visto che l’unico – faticoso e parziale – intervento che ha portato a casa riguarda i reati di corruzione. Sul tema Eternit, in realtà, il premier potrebbe rivendicare almeno la legge sugli ecoreati, che introduce il delitto di “disastro ambientale”: solo che secondo il pubblico ministero del processo, Raffaele Guariniello, il nuovo testo non cambia nulla (“il processo finirebbe comunque in prescrizione”).

Class action
È l’eterna incompiuta di qualsiasi governo. Nel 2007 il governo Prodi inserì la class action nella finanziaria. Emma Marcegaglia, allora presidente di Confindustria mise a verbale: “Serve una tregua, abbiamo bisogno di qualche mese”. Grazie all’azione concentrica di Claudio Scajola e Giulio Tremonti, i mesi si trasformarono in un anno e mezzo. Tutto per disinnescare il rischio di vederla applicata al crac Parmalat (scoppiato nel 2003) e far esordire una norma completamente inefficace, lontana anni luce dal modello americano. Risultato? Circa 40 azioni intentate, solo tre arrivate a giudizio. E veniamo a oggi. Il 3 giugno scorso la Camera approva all’unanimità il ddl che riscrive per intero la normativa. Un testo proposto dal M5s e fatto proprio anche dal Pd. La legge amplia di molto la platea dei beneficiari e anche le fattispecie impugnabili. I giudici non dovranno più dare l’ok preventivo (e non l’hanno quasi mai dato), ma solo stabilire se i partecipanti hanno “interessi omogenei”. Poi sono proprio i democrat a inserire la modifica più incisiva: la possibilità di aderire anche dopo la sentenza di condanna. Giorgio Squinzi tuona: “Intervento preoccupante”. La Boschi risponde a stretto giro: “Modificheremo il testo al Senato”. Dove ora è a bagnomaria.

Carlo Di Foggia e Marco Palombi

da il Fatto Quotidiano del 2 agosto 2015

Articolo Precedente

Rai, riequilibrio in commissione Vigilanza alla vigilia dell’elezione del nuovo cda

next
Articolo Successivo

Caso Azzollini, Orlando: “Su autorizzazioni all’arresto decida la Consulta”

next