Gentile Giovanni Allevi, colgo l’occasione offertami dalle ultime polemiche sorte intorno al suo ‘O Generosa’, brano scritto per la Serie A del campionato di calcio italiano (ma che, in questa mia, non toccherò nel modo più assoluto), per rivolgerle la presente missiva dedicandole alcune brevi considerazioni. Sono anni che lei è a più tornate oggetto d’attacchi, specie da parte del mondo accademico italiano e di eminenti personalità che lo rappresentano nel mondo. Poco male, visto che, come insegna Wilde e forse qualcuno prima di lui, l’importante è che se ne parli.

Eppure avrei preferito ascoltare o leggere disamine capaci, se del caso, di smontare criticamente il giocattolo mediatico che lei ha, giustamente, curato con grande attenzione. L’immagine del grande musicista dalle mille stranezze, un po’ Peter Pan e discretamente capace di giocarsela sul filo dell’ambiguità: è completamente scemo o è un genio folle? In molti, moltissimi se lo saranno chiesto, vittime un po’ inconsapevoli di quella che è forse la chiave di volta per comprendere il polverone mediatico sorto intorno alla sua figura: l’equivoco. Come infatti ha già correttamente evidenziato Paolo Talanca (e non saprei se e chi prima di lui) in un suo recentissimo post su ilfattoquotidiano.it, c’è l’equivoco alla base dell’abnorme mole di chiacchiere mediatiche intorno a lei e alla sua musica: il musicista classico che piace al popolo, il musicista accademico in grado di avvicinare, dopo lo iato consumatosi a partire dagli inizi del secolo scorso, le grandi masse alla musica colta, alla grande musica di tradizione.

Ebbene, e a ben vedere, nulla di tutto ciò. Perché non basta mica essersi diplomati in conservatorio e suonare un pianoforte per poter essere considerati musicisti classici, anzi. Dipende da quello che si sceglie di fare, dalla musica che si intende eseguire o scrivere, e lei la sua scelta l’ha fatta con grande convinzione: scrivere musica pop privilegiando ovviamente lo strumento sul quale si è formato, il pianoforte. Intendiamoci, buona musica pop (ambito del quale sono anche molto appassionato), ma pur sempre, e volendo fare le debite distinzioni, pop music: non dunque musica colta come certa stampa ha cercato negli anni di paventare e che lasciamo ben volentieri ad altri musicisti. Su questo equivoco di base si è dunque scatenata la polemica intorno al suo nome, una polemica in grado di garantirle un seguito ben più largo di quello che sarebbe mai stato senza simili premesse, ergendola quasi a paladino della “libertà musicale” contro le grinfie dei “cattivoni accademici”.

Peccato però che chi l’ha criticata l’ha fatto sentendosi quasi offeso, e a ragione, dalla totale mistificazione che figure come la sua hanno creato intorno al concetto, al ruolo, alle competenze nonché, e non per ultime, alle qualità del musicista classico: pianeta completamente di-verso (ma senza alcun giudizio di valore) rispetto a quello della pop music. Equivoco che dunque genera mistificazione, processo che non riguarda, nel suo caso, solo la sua produzione musicale (ripeto, pregevole se considerata pop music ma davvero irrilevante da un punto di vista accademico), ma ciò che, io presente, è stato in grado di affermare nel corso di un pubblico colloquio, anni or sono, con un professore che la invitava a prendere una qualche posizione sul presunto astio che l’accademia nutrirebbe nei suoi confronti. Cogliendo la palla al balzo e fin troppo felice del prezioso assist offertole, lei prontamente dichiarò: “Anche Mozart era commerciale, la sua musica andava tantissimo”. Scroscio d’applausi, ovviamente, da parte di un pubblico ignaro dei fatti relativi alla storia della musica e dunque non particolarmente idoneo ad afferrare la castroneria.

A parte la totale inapplicabilità del concetto di “commerciale” (per come noi oggi intendiamo il termine) all’epoca e al contesto sociale mozartiani (e al netto di eventuali falsificazioni possibili), mi verrebbe da chiederle: Mozart chi, di grazia? Quel Mozart morto sommerso dai debiti e buttato in una fossa comune, nel totale anonimato, per evidente mancanza di denari? Quale Mozart, di grazia, e quale commerciale? Ebbene, usare e strumentalizzare Wolfgang Amadeus Mozart per giustificare la propria a dir poco ambigua posizione musicale e’ ciò che, al netto delle polemiche sulla sua musica, ho trovato da parte sua più intellettualmente disonesto. Perché vede, vendere pizza hut e’ lecito, come e’ anche lecito che possa piacere: tentare invece di farla passare per pizza napoletana (sapendo perfettamente che più di qualcuno – forse negli States – potrebbe crederci), lo sarebbe decisamente meno.

Articolo Precedente

Richie Hawtin, il suo ENTER a Ibiza fino al 17 settembre: allo Space “un mondo che collega molte cose, dalla musica al sake giapponese”

next
Articolo Successivo

Daniele Sepe, ‘A note spiegate’ svela il jazz nella sua essenza

next