Chi è J. Michael Gilmore e perché parla male dell’F-35? Prendendolo a prestito da un famoso film del 1971 con Dustin Hoffman, potrebbe essere questo il titolo dell’ennesima puntata della commedia tragica dell’F-35 e delle sue varianti. L’ultima viene da un’anticipazione di Jane’s, una delle più importanti fonti informative sulla difesa. Dice Jane’s, citando un rapporto del 22 luglio non ancora reso pubblico, che l’F-35B ha mostrato di essere poco affidabile (“demonstrated poor reliability”) durante le prove in mare a bordo della nave da assalto anfibio USS Wasp. Secondo il rapporto citato da Jane’s, dei sei aerei imbarcati non più di due o tre erano in condizioni di volare in un dato giorno. L’affidabilità e la manutenzione dell’aereo imbarcato “costituiscono un problema a breve termine” e che gli stessi “saranno molto più difficili quando l’aereo dovesse essere impiegato in una missione operativa”.

Il rapporto porta la firma di Michael Gilmore, che non è uno dei tanti pacifisti imbelli che si sono fatti un nome contestando l’aereo delle meraviglie, ma il Director of the Operational Test and Evaluation Directorate del Pentagono, cioè l’uomo incaricato di valutare i sistemi d’arma che devono entrare in servizio nelle forze armate statunitensi. Non proprio un avversario preconcetto, ma certo uno da cui negli ultimi anni sono arrivate le critiche più dettagliate e documentate a questo programma. E non a caso: è lui a disporre per primo dei risultati di tutti i test condotti sul e con il velivolo.

La notizia, ammettetelo anche voi altri convinti che tutti i critici dell’F-35 siano niente più che talpe del Kgb risvegliate dal loro sonno stile The Americans, è un altro brutto colpo alla credibilità del programma proprio mentre i marines si accingono a dichiararne la cosiddetta IOC, Initial Operational Capability, capacità operativa iniziale. Il primo squadron di dieci aerei dovrebbe infatti essere operativo nei prossimi giorni.

È probabile che la IOC sarà dichiarata comunque: la Lockheed e i marines hanno troppo bisogno di di mettere un punto fermo positivo prima che in troppi si interroghino sul senso di questo aereo. Quando si dice IOC, comunque, già si parla di un mezzo in gran parte ancora immaturo: vola ma le missioni che riesce a svolgere sono soltanto quelle di base, nel caso dell’F-35 la prima versione completa del software di missione sarà disponibile solo nel 2017. Campa cavallo, anche perché con 24 milioni di righe di codice del software stesso, i problemi una volta in servizio non sono una possibilità ma una certezza.

Lo ha rilevato nei giorni scorsi un’altra voce certo non ostile all’aereo, la segretaria all’Air Force Deborah Lee James. Parlando all’Aspen Security Forum, uno di quei posti dove non vai a raccontare troppe fregnacce se non vuoi giocarti la carriera, la James ha detto tre cose sostanzialmente: la prima è che non faremo mai più volare un aereo mentre lo stiamo sviluppando; la seconda che ci sono ancora molti problemi di sviluppo che riassume in una parola, “software”; la terza che l’F-35 non ha fatto bella figura nel combattimento ravvicinato con un F-16, un aereo di quasi venti anni fa.

Insomma, come stiamo dicendo da troppi anni una ciofega. Per tutti, salvo che per gli entusiasti sostenitori italioti, ‘generala’ Pinotti in testa. D’altronde, qualcuno un giorno, scherzando, le ha detto che lei era la ministra e l’ingenua capo Scout ci ha creduto e da allora deve per forza tenere un certo contegno. Che comprende raccontare storielle al Parlamento, comperare F-35 come noccioline tanto i soldi non sono suoi, stringere estasiata le mani al segretario alla Difesa americano Ash Carter, dare soldi a palate per commissionare navi militari ai cantieri liguri, solo per caso suo collegio elettorale. E far fuori Giampiero Scanu, suo collega di partito, che per aver osato avanzare dubbi sull’F-35 si è giocato il posto di presidente della commissione Difesa della Camera.

Della serie: chi tocca l’F-35 muore.

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