Doveva essere anche questa una questione puramente regionale, da discutere nelle stanze di potere dell’Isola, senza coinvolgere direttamente il Nazareno. E invece il caso Crocetta è finito sulla scrivania del premier Matteo Renzi, che dovrà prendere in mano la vicenda per avviarla ad una soluzione. Una vera grana per l’ex sindaco di Firenze, chiamato in causa direttamente dopo l’intercettazione rivelata dall’Espresso, in cui il medico di Crocetta, Matteo Tutino, auspicava che Lucia Borsellino venisse “fatta fuori come suo padre”.

Il Pd siciliano protesta ma non vuole andare ad elezioni
Cosa deve fare il Pd? Scaricare il governatore nonostante non si sia ancora fatta piena luce sulle rivelazioni del settimanale? O spingerlo a lasciare, citando come casus belli i dissidi e le lotte intestine che hanno animato il partito in quasi tutti i tre anni di legislatura? Da parte sua, Crocetta, dopo una serie di annunci e smentite, sta cercando di tenere duro: non intende dimettersi. E in effetti quasi nessuno dei 90 deputati siciliani vuole davvero andare ad elezioni, consapevoli che dal prossimo giro i seggi saranno ridotti a 70: venti di loro in pratica rimarranno a casa. Rimarrebbero in teoria altri due anni di legislatura: è davvero necessario far cadere il governo con il rischio di non tornare mai più tra i marmi e gli stipendi di Palazzo d’Orleans? Dopo il caso Crocetta, però, tutti o quasi i 25 deputati regionali del Pd hanno alzato la voce: una marcia indietro repentina adesso è impossibile per molti di loro. Ed è per prendere tempo che i leader isolani del Pd hanno chiesto a Renzi d’intervenire per decidere il futuro del governo.

Nonostante le proteste, in realtà quasi nessuno dei 90 deputati siciliani vuole davvero andare ad elezioni anticipate

Una scocciatura per il premier, che sui fatti siciliani non ha mai voluto prendere personalmente posizione, lasciando il fido sottosegretario Davide Faraone a rappresentare il governo centrale sull’isola, quasi fosse un viceré di epoca spagnola. Un compito parecchio delicato per l’ex rottamatore, consapevole di essersi imposto sull’Isola del Gattopardo solo dopo aver messo da parte la sua presunta specialità delle origini: ovvero la stessa rottamazione. La scalata di Renzi al Pd, infatti, passa anche dall’annessione dei vari cacicchi, i signori delle tessere che in passato hanno fatto la fortuna di Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. E mai una volta, il premier si è espresso sull’argomento. Non lo ha fatto alle primarie, quando in Sicilia si era scoperto renziano persino Marco Zambuto, ex sindaco di Agrigento, democristiano fin da quando girava con lecca lecca e grembiulino, cresciuto nell’Udc di Cuffaro, poi fulminato sulla via della Leopolda, e quindi regista delle disastrose primarie Pd – Forza Italia nella città dei Templi.

Dai ras di Cuffaro ai cacicchi di Lombardo: tutti con Renzi
Nessuna parola era stata spesa dal premier nemmeno nei mesi scorsi, quando per trasformare il Pd in partito a vocazione maggioritaria, il fido Faraone era stato costretto ad aprire le porte delle sezioni. “Io dico no a un modello chiuso: ci vuole un atteggiamento aperto, senza avere paura. La nostra ambizione deve essere quella di allargare l’orizzonte”, aveva detto il sottosegretario all’Istruzione. E in pochissimi giorni le stesse facce che avevano animato a suon di voti i governi di Cuffaro, Lombardo e Berlusconi si erano scoperti a loro agio tra gli eredi di Pio La Torre. Democratico era diventato Nello Dipasquale, sindaco di Ragusa con Forza Italia per due mandati, che fino al 2012 definiva “uno schifo” il Pd di Bersani. “Io non sono cambiato: ero democristiano in Forza Italia, sono democristiano qui” spiegava il diretto interessato alla Leopolda siciliana messa in piedi da Faraone e subito ribattezzata Faraona.

Un evento che aveva mostrato alla Sicilia quale fosse il “partito aperto” che avevano in mente Faraone e Renzi sull’Isola. “Abbiamo la stessa forza del centro destra nel 2001, ai tempi del 61 a 0” gongolava il luogotenente renziano. E in effetti, il Pd siciliano oggi non solo ha la stessa forza della casa delle Libertà del cappotto berlusconiano ma quasi anche le stesse facce. A cominciare da Alberto Firenze, organizzatore dell’evento, presidente dell’Ersu Palermo ed in passato consigliere comunale di Forza Italia a Castelvetrano. Ma a fare festa al viceré democratico alla Faraona c’erano anche Adelfio Elio Cardinale, ex sottosegretario alla Salute nel governo di Mario Monti, intimo di Renato Schifani, e il rettore dell’Università di Palermo, Roberto Lagalla, vicino ad Angelino Alfano, in passato assessore alla Sanità di Cuffaro.

La scalata di Renzi al Pd passa anche dall’annessione dei vari i signori delle tessere ex di Cuffaro e Lombardo

Numerosissimi i renziani dell’ultimissima ora: da Nicola D’Agostino, già capogruppo del Mpa di Lombardo all’Assemblea regionale siciliana, a Valeria Sudano, nipote dell’ex deputato cuffariano Domenico. Qualche polemica, dentro al Pd, era nata quando i dem si erano annessi in toto i deputati di Articolo 4, la lista fai da te creata dall’ex vice di Cuffaro Lino Leanza (poi deceduto). Renziani dall’oggi al domani erano diventati Luca Sammartino, diventato famoso quando in campagna elettorale dalla clinica etnea Humanitas partivano telefonate indirizzate ai malati di tumore, che invitavano a votare per lui. “Se queste telefonate sono state fatte, sono a titolo assolutamente privato” si era giustificato il diretto interessato, che è figlio di Annunziata Sciacca, direttore sanitario della stessa clinica oncologica, che aveva creato più di un grattacapo all’ex assessore Borsellino.

Fulminato sulla via della Leopolda anche Raffaele Nicotra, detto Pippo, indagato (e archiviato) per voto di scambio,  ex sindaco di Aci Catena, che nel 1993 si oppose al divieto dei funerali pubblici per un parente del boss mafioso della zona. Andò platealmente al cimitero per abbracciare la famiglia del defunto e pochi giorni dopo il prefetto di Catania decise di rimuoverlo da sindaco, mentre il consiglio comunale venne sciolto per mafia: oggi eccolo tornato nell’agone politico nelle fila dei rottamatori. A fargli compagnia c’è anche Paolo Ruggirello, ex di Nello Musumeci, luogotenente di Lombardo a Trapani, entrato nel Pd tra le polemiche. Aveva esordito anni fa come assistente di Bartolo Pellegrino, deputato socialista, vicepresidente di Cuffaro, arrestato e poi assolto per concorso esterno a Cosa Nostra, celebre per aver definito “infame” un personaggio che aveva parlato con i carabinieri (a loro volta etichettati come “sbirri).

Fuga dal Pd impresentabile, ma Renzi ha scelto il silenzio
Noto alle cronache anche il padre di Ruggirello, il ragionier Giuseppe fondatore della Banca Industriale negli anni ’70, diventato ricco in modo tanto veloce da meritare addirittura un’interrogazione parlamentare che puntava a fare luce sull’origine del suo successo economico. Poi nel 1997 il nome di Ruggirello senior salterà fuori addirittura in un’inchiesta che coinvolgeva  Enrico Nicoletti, cassiere della banda della Magliana. La lista di democratici impresentabili insomma è lunga, è cresce ogni mese a causa di annessioni, aperture, nuovi tesseramenti. È questo il “partito aperto” di Faraone, che colleziona ràs di provincia con un passato molto diverso e che qualche mese ha fatto fuggire centinaia di militanti della base: da Renzi però mai nessuna parola. Almeno fino al caso Crocetta, che adesso chiama in caso direttamente il premier: spetta a Renzi decidere quando e come liquidare il governatre.  Per questo motivo, oggi, nell’ormai ristretto cerchio magico di Crocetta i mal di pancia sono incontrollabili: possibile che Renzi intervenga in prima persona soltanto adesso, solo perché a chiederlo sono deputati e consiglieri che fino all’altro ieri stavano dall’altra parte della barricata? Dal Nazareno, per il momento, il silenzio sugli affari di Sicilia continua. Ma forse ancora non per molto.

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