Quest’anno Via D’Amelio mi ha concesso la possibilità di portare avanti la mia “battaglia del cuore”, quella causa che tiene un posto privilegiato nella nostra anima, nata forse da esperienze personali che ne hanno fatto comprendere l’importanza e che, proprio per questo, avrà sempre la precedenza su tutte le altre.

In una società in cui addossare le proprie responsabilità all’altro, urlare e farsi la guerra è diventato di moda, scegliere la strada della razionalità e della non violenza sembra essere, a volte, una scelta eretica. Il 19 luglio appena passato, sul palco di Via D’Amelio, io ed il mio amico Luigi Lombardo (rappresentante del Siap di Palermo, ndA) abbiamo ribadito la nostra convinzione in quella scelta eretica, leggendo un dialogo scritto a quattro mani: le mani di un manifestante e le mani di un poliziotto.

Vorrei dedicare queste parole a tutte le persone che, insieme a me, sono state ferite dalla Polizia e vorrei dedicare le stesse parole a tutti i poliziotti che ho conosciuto a Palermo e che mi hanno fatto scrivere quelle parole credendoci fermamente.

*

Ci sono sempre quelli che dicono, quelli che dicono anche se non dovrebbero dire, forse farebbero bene a non pensare nemmeno, ma ci sono. Sono ovunque, tra la gente comune e tra chi li rappresenta cercano solo fratture e divisioni, tramano nell’ombra, parlano, agiscono e vestono in mille modi diversi, escogitano, dicono e vogliono.

Vogliono che io ti guardi e che veda in te il mio nemico,
una persona senza nome, uno dei tanti, tutti uguali, tutti neri, coperti da un casco e da una maschera antigas, con un manganello in mano, pronto a fare del male.
Vogliono che io ti guardi e che veda in te il mio nemico,
una persona senza un ideale, senza una dignità, senza un’opinione, servo dei servi, una persona che tradisce i suoi stessi cittadini, difendendo gli oppressori.
Vogliono che io ti guardi e che veda in te il mio nemico.

Vogliono che io ti guardi e che veda in te il mio nemico, una persona che ci odia, che non ha un buon motivo per stare lì se non quello di picchiare un poliziotto e spaccare tutto.
Vogliono che io ti guardi e che veda in te il mio nemico, una persona che ignora tutto il mondo che c’è sotto una divisa, che non capisce che i suoi problemi sono anche i miei, che la disoccupazione, la casa, la scuola, la sanità sono drammi che per primo vivo io e che vorrei magari condividere con lui le ragioni della protesta.
Vogliono che io ti guardi e che veda in te il mio nemico.

Vogliono che io ti guardi e che le prime due emozioni che emergano, contemporaneamente, siano la rabbia e la paura. La rabbia, per le violenze subite da cittadini inermi e mai punite; la paura, di essere il prossimo a subirle.

Vogliono che io ti guardi e che le prime due emozioni che emergano, contemporaneamente, siano la rabbia e la paura. La rabbia di chi sa che, qualunque cosa succederà in piazza, saranno sempre e solo i poliziotti ad averne le colpe, la paura di lasciarci le penne, portare a casa fratture e suture e che, qualunque cosa accada, il mio stipendio non basterà a pagare gli avvocati e distruggerà l’economia fragile della mia famiglia.

Vogliono che io guardi le squadre nere che vi assalgono e che, dentro di me, sussurri “bravi”.

Vogliono che io guardi le manganellate e pensi “ben vi sta”.

Vogliono che io ti guardi e che veda in te il mio nemico: una guardia.
Vogliono che io ti guardi e che veda in te il mio nemico: un manifestante.

Eppure, in questa giornata, io ti guardo e vedo soltanto Rocco, Antonio, Vito, Vincenzo, Emanuela, Agostino, Walter e Claudio, Poliziotti sì, ma miei fratelli, sorelle, figli, figlie, compagni, amici.

Eppure, in questa giornata, io ti guardo te e vedo soltanto Peppino Impastato, Danilo Dolci, Mauro Rostagno, che mettevano in pratica la disobbedienza civile, sì, ma erano e sono miei compagni e combattevano anche per me.

Vogliono che ci guardiamo l’un l’altro e che identifichiamo il nostro nemico nel colore dei vestiti che indossiamo e non nel sopruso, da qualsiasi “colore” esso sia commesso.

Vogliono che la frustrazione, la rabbia e la paura oscurino la nostra capacità di ragionare e di sentire.

Quello che vogliono è che si scelga la violenza. Perché la violenza è l’antitesi non solo della pace ma anche della logica e della razionalità. E finché saremo impegnati ad usare violenza non avremo il tempo di riflettere e trovare il giusto modo per raggiungere l’obiettivo, che è solo uno: la giustizia. In ogni sua forma e dimensione, sia questa in un tribunale, in un ospedale, sul posto di lavoro.

Questa giornata è la dimostrazione che il nostro nemico è un altro e che, alla fine dei giochi, è lo stesso: la violenza. Non solo la violenza fisica, quella risulta meno grave alla Storia, ma soprattutto la violenza morale, la sopraffazione del più debole. L’ingiustizia impunita.

Questa giornata ci trova schierati dalla stessa parte e, se si è capaci di farlo una volta, lo si può fare ancora. Ma non diventando tutti poliziotti o tutti manifestanti – come spesso ci viene chiesto -, non imponendo all’altro il proprio modo di migliorare questa società, quanto difendendo, qualsiasi sia la nostra occupazione e qualsiasi colore indosseremo alla prossima manifestazione, l’importanza dell’onestà intellettuale e il rifiuto dell’abuso e della violenza. Ricordandoci sempre che il nostro comune obiettivo non è la vittoria della squadra rossa o di quella nera ma quella della squadra dei giusti e degli onesti.

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