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Omar Pedrini: “Ultimamente la discografia investe solo nei reality, quindi non speravo nella mia rinascita”

Nel 2013 l’ex Timoria ha incontrato Noel Gallagher e ha avviato una collaborazione con l’etichetta Ignition, di proprietà dell’ex Oasis, facendo la spola fra Londra, Manchester e Milano. Ora, dopo altri problemi cardiaci superati grazie a un intervento chirurgico, è uscito il nuovo singolo Sorridimi

di Salvatore Coccoluto

Omar Pedrini è un veterano del rock italiano, abituato a reinventarsi e a rinascere tante volte. Dopo aver trascorso circa otto anni fuori dal mondo discografico, periodo in cui si è dedicato alla tv, al teatro e all’insegnamento, nel 2013 l’ex Timoria ha incontrato Noel Gallagher e ha avviato una collaborazione con l’etichetta Ignition, di proprietà dell’ex Oasis, facendo la spola fra Londra, Manchester e Milano. I problemi al cuore che lo accompagnavano da anni sembravano sotto controllo, così ha pubblicato il disco Che ci vado a fare a Londra? e si è dedicato a un’intensa attività live. Ma nell’ottobre dell’anno scorso, durante la data romana del tour, il suo cuore ha ricominciato a fare i capricci ed è stato operato di nuovo d’urgenza. L’intervento è riuscito, ma di riposo nemmeno a parlarne: un mese dopo era già sul palco con l’entusiasmo di un bambino. Poi concerti in Italia e a Londra, finché pochi giorni fa ha aperto i live di Noel Gallagher a Roma e a Milano. Per non farsi mancare nulla ha appena pubblicato il singolo Sorridimi, che anticipa il nuovo album in uscita a dicembre. Il disco vedrà la partecipazione dei Folks, band seguita dell’ex Oasis, e conterrà anche Oh Cecilia, versione italiana di A simple game of a genius, brano della rockstar di Manchester. “Io ho trovato la mia rinascita anche grazie al manager italiano di Noel Gallagher, che mi ha detto: ‘Omar, il tuo rock è molto inglese’ – ha raccontato a FQ Magazine – È arrivata dopo otto anni di indifferenza da parte del mondo discografico, ma non ce l’ho con nessuno, non mi sento una vittima. Probabilmente, restando fuori dai giochi per tanto tempo, non ho contribuito all’inquinamento musicale di questi anni. Ultimamente la discografia gioca a freccette: ne lancia 20, sperando che una vada nel centro, e le altre 19 le dimentica. Investe solo nei talent, quindi non speravo proprio nella mia rinascita”.

Omar, a ottobre sei rinato per l’ennesima volta.
Se posso raccontare questa storia è grazie ai medici e allo staff del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna che, con l’intervento, hanno risolto anche altri problemi che avevo prima del malore. Mi sarei dovuto operare a Houston, negli Stati Uniti, ma volevano 150.000 dollari che io non avevo. Invece a Bologna ho affrontato lo stesso intervento con la mutua, senza pagare nulla. Voglio sottolineare questo aspetto perché si parla tanto di malasanità ma si trascurano le numerose professionalità che abbiamo. Spesso in Italia fa più rumore un albero che cade rispetto a una foresta che nasce.

Dopo l’intervento sei tornato subito sul palco e ora è arrivato anche un nuovo singolo. Perché tanta fretta di rientrare?
Volevo ricominciare da dove avevo lasciato quella sera a Roma, ovviamente faccio controlli ogni settimana. È stato bello sentire che c’era tanta gente che mi aspettava. Ho ripreso subito a scrivere ed è nata Sorridimi: a un certo punto della mia vita, infatti, mi sono ritrovato con una moglie giovane e una figlia di pochi anni che poteva rimanere senza un padre. Una mattina la piccola mi è piombata nel letto con un sorriso contagioso e così ho scritto questa canzone con la quale ho voluto dare un messaggio di positività. Il sorriso di una persona vale tanto, so che è molto naif, ma ho voluto raccontare la semplicità di questo attimo. Abbiamo realizzato anche un video con un budget di 500 euro. Siamo andati a girare nella Milano del grano e al circolo degli anziani dove spesso vado a giocare a carte, poi insieme a mia figlia ho piantato un seme nell’orto, un gesto molto importante per me che amo la terra.

Da due anni fai la spola fra Londra, Manchester e Milano. Che cosa hai trovato nella realtà musicale inglese che non c’è in quella italiana?
Sicuramente lì ho scoperto un mondo adeguato al mio genere musicale. È la casa del rock, gli studi sono adatti alla mia musica. E poi mi ha riempito di entusiasmo avere la possibilità di confrontarmi con musicisti internazionali: vai a fare un giro nei locali e ti ritrovi gomito a gomito con i tuoi miti. Una sera a Londra ho cenato casualmente con Bobby Gillespie dei Primal Scream e abbiamo parlato delle nostre canzoni. I primi giorni ero come un bambino al luna park. Poi ho cominciato ad ambientarmi e a incontrare tanti italiani. Ho scoperto anche il lato malinconico della faccenda: molti ragazzi in gamba sono costretti ad andare lì perché in Italia non hanno possibilità.

Uno come te, che ha venduto tantissimo con i Timoria, come si rapporta con i numeri esigui dell’attuale discografia?
È un altro mondo rispetto a vent’anni fa. Pensa che un giorno la mia casa discografica mi ha detto: “Omar, il disco sta andando benissimo, abbiamo venduto quasi 5.000 copie”. Io ero perplesso, perché con i Timoria ne vendevamo 5.000 a settimana. Mi sembravano pochissime, invece loro erano felicissimi perché per il mercato di oggi sono tante.

Secondo te, a chi possono essere attribuite le maggiori responsabilità di questo cambiamento?
Le abbiamo un po’ tutti. Per anni la Rete ha fisiologicamente succhiato denaro e vendite alla discografia. Anche se oggi c’è una certa rieducazione al download legale e una ripresa del mercato. Quindi un 50% si potrebbe attribuire a Internet. Ma l’altro 50 va diviso tra il mondo discografico e la politica. Il primo, mentre perdeva quota, si è messo dei pesi addosso per affondare: ha puntato troppo su prodotti musicali immediati, facili, banali, per ottenere risultati sicuri. La politica, invece, continua a promettere tante cose senza realizzarle: il primo album l’ho fatto nel 1988 e parlavano di togliere l’Iva sui dischi perché sono cultura come i libri. Ma, da destra a sinistra, nessuno ha mai avuto il coraggio di farlo. All’estero la musica è considerata cultura e gli viene dato il giusto peso già a scuola, cosa che non succede in Italia. È da lì che dovrebbero partire stimoli e riferimenti per le nuove generazioni.

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