Hervé Barmasse è l’erede di tre generazioni di guide alpine di Valtournenche: prima di tutti venne il bisnonno Michele, poi fu la volta di Luigi, quindi suo padre Marco. Oggi lui è uno degli scalatori più spettacolari del pianeta, ha aperto vie in Patagonia, sull’Himalaya e in Cina. Nulla, però, può dargli le emozioni della montagna di casa, quella Gran Becca che 150 anni fa accettò infine di farsi conquistare.

Oggi il Cervino rimane ancora una grande emozione

“Il 17 luglio del 1865 avvenne un passaggio storico per l’alpinismo – racconta Hervé, autore del libro La montagna dentro -. La prima spedizione sul Cervino, che risale a tre giorni prima, è ricordata soprattutto per la morte di quattro membri della cordata di Whymper, l’incisore britannico che aveva avuto la geniale idea di affrontare la salita per la via svizzera. La spedizione italiana, che ascese la parete sud, fu invece una festa e spinse la disciplina avanti di venti anni”. Tutto merito di un concittadino di Barmasse, Jean-Antoine Carrel. Fu pioniere e patriota: dopo aver prestato servizio per dieci anni nell’esercito durante le Guerre d’Indipendenza si ostinò a tentare di donare alla neonata Italia un Tricolore a quota 4478 metri. “Un secolo e mezzo dopo, nonostante migliaia di uomini e donne abbiano seguito quelle tracce, scalare il Cervino è sempre una grande emozione. Personalmente amo la via italiana, è quella che meglio racconta gli anni dell’alpinismo eroico. Tra il 1857 e il 1865 Carrell, Whymper e altri straordinari uomini di montagna si sfidarono innumerevoli volte con il sogno di arrivare in cima, lungo il cammino resistono le tracce di tutti quei tentativi”.

Ha una forza magnetica, difficile resistergli

Un grande alpinista francese, Gaston Rebuffat, scrisse che nessuno di fronte al Cervino rimane la stessa persona. Vale per chi lo guarda col naso in su, da Zermatt come dai prati di Breuil, oppure per coloro che arrivano a godersi il panorama dalla vetta. “Ha una forza magnetica, è difficile resistere alla sua maestosità – spiega Barmasse – La Gran Becca, come la chiamiamo noi della valle, entra nel cuore come può fare una persona. È viva e parla, anche se allo sguardo appaiono solo roccia e neve. La sua unicità è confermata dal fatto che, caso unico al mondo, il suo nome è usato per descrivere altre montagne: il Masherbrum è chiamato il Cervino del Pakistan, lo Shivling è quello indiano e l’Ama Dablam del Nepal”.

Oggi è possibile ciò che ieri non si poteva concepire

Qualcuno potrebbe obiettare che oggi parte di quel fascino è stato eroso dall’azione dell’uomo, dalle sue pratiche e evoluzioni. Un secolo e mezzo fa Carrell, che sulla sua montagna morì a 61 anni ed è ricordato da una croce a 2920 metri di altezza, si inerpicò fino alla vetta carico di vino nello zaino e munito di scarponi chiodati, spesse corde di canapa e alpenstock, antenato della piccozza. Oggi Kilian Burgada, fenomenale ultratrailer e scialpinista catalano, impiega 2 ore, 52 minuti e 2 secondi per fare su e giù dal Cervino.

“Stiamo parlando di un atleta straordinario e di un record impressionante, realizzato in condizioni speciali. Alcuni giorni, ad esempio in questo periodo, la montagna si presenta senza neve e si presta a diventare una pista per la corsa. Non c’è da stupirsi, i tempi cambiano: quando mio nonno partiva per una spedizione impegnativa sapeva che sarebbe stato cinque o sei mesi lontano da casa, oggi ti accompagnano fino al campo base dell’Everest e lì puoi farti una doccia calda. Il presente rende possibile quello che in passato nemmeno si riusciva a concepire”.

L’esplorazione alpina non è terminata, per nuove vie servono coraggio e fantasia 

Richiede un notevole sforzo d’immaginazione anche la pianificazione di nuove imprese. Eppure Hervé Barmasse trova di continuo nuove sfide e non ha bisogno di prendere un aereo per andare in cerca di avventura. Negli scorsi anni ha dato vita al progetto Exploring the Alps, che si propone di aprire nuove vie sulle principali vette della catena alpina: assieme a Monte Bianco e Monte Rosa non poteva mancare il suo Cervino. Risale al 2011 l’ascesa in solitaria dei 4235 metri del Picco Muzio, un tracciato inedito che lo ha tenuto quattro giorni in parete tra roccia e ghiaccio. Un’impresa degna di quella di Walter Bonatti che nel 1965, per festeggiare il centenario delle gesta di Whymper e Carrel, chiuse la sua carriera da alpinista estremo sulla Nord della Gran Becca.

“Quella fu la terza via che ho aperto sul Cervino – conclude – ho realizzato prime solitarie, prime invernali e concatenamenti. Oggi un paio di idee mi frullano in testa, ho un sogno da più di dodici anni e spero prima o poi di realizzarlo. Se tracciamo delle linee immaginarie lungo i percorsi già battuti dagli alpinisti gli spazi si riducono, quelli che rimangono sono solitamente difficili e presentano grandi rischi. Servono coraggio e fortuna, che assieme a tecnica e preparazione fisica è una dote fondamentale del buon alpinista, ma si può ancora aprire una vita. L’esplorazione alpina è tutt’altro che terminata: muta di continuo, ma oggi come allora a rendere tale un’impresa è la nostra fantasia”.

Articolo Precedente

Teodoro Soldati, morto a 15 anni la miglior promessa del golf italiano

next
Articolo Successivo

Tour de France, Van Avermaeth vince su Sagan e batte la scaramanzia

next