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I roghi di libri, metaforici o reali che siano, sono sempre sbagliati. I due casi più famosi, storicamente, sono i Bücherverbrennungen, quelli di epoca nazista che presero piede a partire dal 1933, contro tutti i testi contrari all’ideologia di Hitler, e quelli del maccartismo americano della metà degli anni Cinquanta.

Il fenomeno statunitense in realtà fu più contenuto e meno importante: riguardò politicanti troppo solerti dello Stato dell’Indiana e bibliotecari più realisti del re che, per fare bella figura agli occhi del senatore McCarthy e del nuovo clima di caccia alle streghe che si era creato, cominciarono a togliere dagli scaffali quei volumi che avevano ‘chiaramente’ un profilo eversivo e comunista. Si cominciò con ‘Robin Hood’, chiaro esempio di proto-comunismo dove un individuo – probabilmente un terrorista – rubava ai ricchi per dare ai poveri, ma alla fine si toccarono anche libri nei quali il messaggio era più, come dire, criptico, e richiedeva un grado più sottile di comprensione letteraria: penso a ‘Little Red Riding Hood’, vale a dire ‘Cappuccetto Rosso’, che aveva tradito la sua appartenenza alla Terza Internazionale per una banale questione cromatica (o forse era l’idea dello Hood che incuteva timore, considerati i titoli dei due libri).

Ecco perché, quando ho saputo che il neo-sindaco di Venezia Luigi Brugnaro aveva da poco stilato una lista nera dei libri da bandire dalle scuole del Comune, in quanto osano trattare l’argomento della differenza di genere, ho pensato: bisogna fare qualcosa. Per mia fortuna, non sono stato né il primo, né l’unico ad avere questo stesso pensiero. Mi hanno preceduto i colleghi Andrea Valente e Matteo Corradini, che in capo a pochissimo hanno messo online un testo tanto breve quanto condivisibile:

Signor sindaco,

cortesemente bandisca anche i nostri libri.
Non vogliamo stare in una città
dove vengono banditi quelli di altri.

seguono firme

E di firme ne hanno raccolte parecchie, tanto che messe in ordine alfabetico, in poche ora sono già 151 e vanno da Anna Abate a Giovanna Zoboli. I motivi per cui ho deciso, nel mio piccolo, di aderire li ha spiegati bene il sor Corradini: “Ho soprattutto chiaro, dentro di me, che l’educazione è sempre un dialogo. […] A volte questo dialogo avviene attraverso strumenti, e i libri sono strumenti speciali, perlomeno per noi che li amiamo. I libri sono un dialogo tra te e uno scrittore: leggerne molti significa aprire gli occhi, non significa certo condividerli (nel mio caso, per esempio, condivido solo una fetta sottile di tutto quello che leggo)“. Il post di Corradini lo dovrei citare quasi per intero, per quanto è condivisibile, ma chi vuole se lo può leggere alla fonte.

Di mio posso solo aggiungere che fra testi sul maccartismo, testi sui diritti dei gay e romanzi che trattano la bisessualità e l’omosessualità come in altri testi si trattano le persone coi capelli rossi o le lentiggini, penso di avere fatto e star facendo il possibile per contribuire a una mentalità italiana nella quale gli omofobi si sentano ogni giorno un pochino più fuori posto, così come si sentirono via via obsoleti i suprematisti bianchi dei primi decenni del Novecento statunitense, quando la lotta era sempre contro il matrimonio per tutti, ma allora andava di moda opporsi a quello misto fra bianchi e neri.

Non credo occorra essere degli intellettuali particolarmente sottili per condividere il punto di Corradini e Valente. Lascio decidere a voi se le loro parole sono giuste o meno. Per me, sono sacrosante e in questi tempi complessi, in cui anche persone normalmente acute assumono posizioni manichee (e quindi sbagliate, per me) su questioni difficili come il caso greco, è un balsamo potere condividere una posizione che appare oggettivamente nel giusto.

Per ultimo, faccio notare che il Veneto degli ultimi anni ha una triste storia di roghi di libri. Nel gennaio del 2011 fu il turno dell’assessore alla Cultura [sic] della Provincia di Venezia, l’ex missino all’epoca berlusconiano Raffaele Speranzon, che insieme al collega Paride Costa intimò alle alle biblioteche pubbliche di togliere i libri di un nutritissimo gruppo di scrittori italiani, “rei” di aver firmato un manifesto in solidarietà di Cesare Battisti. Io mi guardai bene dal firmare quel manifesto, perché sul terrorista latitante Cesare Battisti probabilmente la penso come Speranzon e Costa, ma trovai già allora, come trovo adesso, del tutto folle pensare di organizzare roghi di libri contro quegli scrittori che coltivano idee politiche opposte alle proprie.

 

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