Spiega che chi ha realizzato l’attacco informatico “non è un dilettante“, esclude che a compierlo sia stato qualcuno “all’interno della nostra compagnia” e aggiunge che “governi stranieri potrebbero avere le capacità di portare a termine un’operazione di questo tipo”, anche se non riesce a ipotizzarne le finalità. Erik Rabe, responsabile della comunicazione di Hacking Team – società di Milano hackerata il 6 luglio e che vende software per la sorveglianza a governi e istituzioni in tutto il mondo – chiarisce all’Ansa che “terroristi e organizzazioni criminali sono gli autori più probabili” del gesto, perché ne hanno “tutta la convenienza“. La tecnologia o le informazioni rubate potrebbero quindi essere sfruttate dall’Isis? “Non ne ho idea – dice Rabe – non posso speculare sulle loro capacità”.

In queste ore, con un comunicato ufficiale, la società ha ammesso che la situazione è “fuori controllo” e ha parlato di “grave minaccia“. “I media sembrano credere che dietro questo attacco ci possa essere qualcuno che ha a cuore i diritti civili e la privacy – aggiunge Rabe -. Ma, se così fosse, queste persone hanno fatto un errore incredibile mettendo a disposizione di chiunque un software di questo tipo. In realtà non ho idea di chi possa aver compiuto questo attacco. Un giorno lo scopriremo, ma penso ci vorrà una lunga investigazione”.

“Non diciamo i nomi dei nostri clienti e dove sono localizzati, vendiamo solo a governi e ad agenzie governative, non si sono clienti privati. Naturalmente adesso ciò che ci è stato rubato è a disposizione di tutti”, osserva Rabe a proposito delle notizie circolate riguardo alla vendita del loro software di sorveglianza anche a regimi repressivi come il Sudan. “Non so se ci possano essere criticità in Italia. Vedremo. Ma è incredibilmente irresponsabile chi ha pubblicato questi file”.

“Il nostro software può essere usato per le intimidazioni, ricatti su informazioni personali. Il ‘guadagno’ ora è nelle mani di più persone. Pensiamo che nel furto dei nostri dati siano coinvolte delle ‘gang’, e sicuramente più persone. Non ci sono prove dirette di un uso del nostro software, ma criminali e terroristi hanno reso le informazioni disponibili e chiunque può prenderle. Noi non avremmo mai voluto nemmeno in un milione di anni che il nostro software fosse reso disponibile a tutti”. La priorità ora – conclude – “è mettere a posto il software e farne un’altra versione, molto velocemente. Dobbiamo capire chi ci ha rubato documenti e ne fa un uso illegale. Anche per poterne contenere i danni“.

In passato la società era finita nel mirino del fronte antagonista, con un attacco “fisico” e non virtuale. Nel novembre 2013 la sede di via della Moscova 13 a Milano, fu attaccata da un gruppo di manifestanti che scrisse sulla facciata del palazzo: “Ci controllano le vite, ci rubano il futuro!”. Accanto alla frase dipinta con vernice rossa venne tracciata una “V” all’interno di un cerchio, uno dei simboli utilizzati dalla galassia della contestazione in riferimento al film “V per vendetta”. L’azienda fu attaccata perché in quei giorni il quotidiano britannico The Guardian pubblicò il rapporto della Ong “Privacy International” in cui l’azienda milanese compariva assieme ad altre 337 aziende di tutto il mondo che avrebbero venduto sistemi di spionaggio a 35 Paesi.

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