Maggiore potere ad esercito e polizia, coprifuoco e limitazione dei diritti di riunione ed assemblea. La Tunisia ha indetto lo stato di emergenza. Trenta giorni d’etat d’urgence per provare a tutelare l’intera nazione. Bloccare ed “anticipare” il terrorismo e, forse, far ripartire una stagione turistica già disastrata dagli attacchi al Bardo ed ancor di più affossata dagli ultimi attentati di Sousse.

Il presidente Essebsi sta provando a correre, letteralmente, ai ripari. E’ la quarta volta che la Tunisia nella sua storia fa ricorso allo stato di emergenza e la società civile, sottolinea Liberation, guarda con sospetto a questa manovra che fa immediatamente pensare ad un ritorno all’ancien regime.

Eppure la necessità di tutelare l’immagine del paese e la sua sicurezza esiste. Eccome.

Mi dicono che a Tunisi si viva in una bolla di, relativa, sicurezza. Il resto del Paese, lo conferma la cronaca locale, è invece da tempo coinvolto in un circolo di instabilità e violenza che fatica a rarefarsi e che anzi va incrementando. A livello locale, un coprifuoco temporaneo era stato decretato a Douz per bloccare le proteste dei manifestanti ed anche nel 2012 si è fatto ricorso al coprifuoco nelle città di Sousse, Monastir, Jendouba come in molte altre per tentare di placare gli animi di alcuni gruppi salafiti scontratisi con le forze di sicurezza.

Eppure il ricorso allo stato di emergenza rievoca nell’immaginario collettivo, il mio per primo, un senso di ritorno al passato.

Misura “necessaria” nel periodo immediatamente successivo alla fuga di Ben Ali (è stato in vigore sino al Marzo 2014), “strumento eccezionale” (a detta di Essebsi) a causa delle eccezionali misure in cui si trova il Paese. Da oggi e per trenta giorni, il Ministero degli Interni potrà proibire manifestazioni ed assemblee pubbliche, censurare la libertà di espressione, stabilire limitazioni al movimento dei cittadini. “Poteri esorbitanti”, secondo Amna Guellali di Human Right Watch Tunisia.

Gli attentati di Sousse hanno certamente colpito gli occidentali, inviato un messaggio ai governanti al di là del mar Mediterraneo, ma allo stesso tempo colpendo i turisti non posso non pensare che il vero obiettivo fosse proprio la Tunisia. L’unico paese che si avvia verso una pur faticosa transizione positiva, verso una rottura (pur non del tutto definitiva) con il proprio passato, che sta cercando una via alternativa nel bel mezzo di un mondo arabo che fatica a lasciarsi alle spalle il proprio passato (vedi l’Egitto) o che si trova in un presente quasi impossibile da gestire (vedi la Libia o la Siria). Una nazione in cui gli islamisti di Nahda hanno instaurato un pur difficile dialogo con le altre forze politiche, dove lo scorso febbraio si era creato un governo di unità nazionale che faceva ben sperare per il presente e l’immediato futuro del paese, pur senza dimenticare le difficili condizioni economiche e sociali i cui si trova(va) ad agire.

Essebsi ha un compito difficilissimo: limitare le libertà personali dei tunisini non per controllarli, bensì per tutelarli. Un compito che ai suoi predecessori non è riuscito. Il futuro del paese si decide, anche, in questi trenta giorni.

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