L’alfabeto è lo stesso, la scala a chiocciola del Dna, ma le parole cambiano a seconda del lettore, cioè dell’organo del corpo che deve interpretarne le istruzioni. È come se, dopo avere imparato a leggere il codice della vita, gli scienziati avessero scoperto che non si trovavano di fronte a un singolo libro, ma a un’intera enciclopedia. Che si arricchisce sempre di nuovi volumi. Genetisti e biologi molecolari li chiamano “Epigenomi”.

L’ultima scoperta in questo nuovo settore della biologia, appena pubblicata su Nature, è di un team di ricercatori Usa del Salk Institute, che hanno ricostruito per la prima volta la mappa dell’attività dei geni di 18 differenti organi. Una mappa epigenetica, per l’appunto, secondo la nuova terminologia adoperata dagli scienziati per ampliare l’iniziale progetto di sequenziamento dei tre miliardi di lettere del Dna di Homo Sapiens, il cosiddetto “Progetto genoma umano”.

“Comprendere la diversità dei tessuti umani è fondamentale per capire le malattie”, spiegano su Nature gli autori dello studio. Ogni tessuto, ogni organo del corpo ha, infatti, un proprio linguaggio. I geni, cioè, sono sempre gli stessi nei differenti tessuti dell’organismo, ma non tutti sono attivi nello stesso tempo e nello stesso modo. Possono, ad esempio, essere accesi o spenti, a seconda della funzione che una cellula svolge nell’organismo, oppure se la cellula è sana o malata. Le sequenze geniche del Dna, quindi, da sole non bastano a spiegare la complessità e diversità dei viventi, e dei loro organi. Esistono molti altri fattori che ne consentono il corretto funzionamento, la maggior parte dei quali ancora sconosciuti agli studiosi. Che solo di recente hanno iniziato a decifrarli, scoprendo numerose interazioni tra i geni.

Uno dei sistemi di regolazione più utilizzati dall’organismo per modificare l’attività dei propri geni è l’aggiunta di piccoli gruppi chimici alla doppia elica del Dna. Analizzando gli epigenomi di quattro individui, i ricercatori Usa si sono concentrati su una di queste modifiche, nota come “metilazione”, scoprendo che non è limitata solo ad alcuni tessuti e alla fase embrionale. “In passato – afferma Matthew Schultz, tra gli autori dello studio – questo tipo di metilazione era stata osservata solo in alcuni organi, come il cervello e i muscoli scheletrici, oppure nelle cellule germinali e staminali. Averla osservata anche in altri tessuti adulti normali potrebbe essere un segnale  – aggiunge Schultz – della presenza, in queste parti del corpo, di popolazioni di cellule staminali”.

Dallo studio di Nature emerge un risultato inatteso per i ricercatori: il livello di metilazione del Dna può variare anche molto da un organo all’altro, soprattutto con l’età, l’alimentazione e le condizioni ambientali. Gli scienziati non hanno ancora capito a cosa siano dovute queste differenze, ma sanno di avere in mano uno strumento importante in chiave diagnostica futura, e per la progettazione di possibili terapie mirate. “Le firme della metilazione sono così diverse – concludono gli esperti Usa su Nature – che in futuro potremo immaginare una biopsia caratterizzata non solo da cellule e geni di un campione, ma anche dal suo epigenoma”.

Lo studio su Nature

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