Salgono a otto i decreti Salva Ilva varati dal governo italiano negli ultimi tre anni. L’ultimo è arrivato nella serata del 3 luglio quando il consiglio dei ministri ha dato il via libera a un provvedimento unico che, a quanto si apprende da fonti ministeriali, contiene le misure per impedire il blocco dell’altoforno 2 dell’Ilva, sequestrato senza facoltà d’uso dal tribunale ionico dopo l’incidente che è costato la vita ad un operaio, Alessandro Morricella, e per sbloccare le aree dello stabilimento Fincantieri di Monfalcone, sequestrate dal tribunale di Gorizia.

Il decreto potrebbe essere pubblicato nelle prossime ore nella Gazzetta Ufficiale. Sul fronte dell’acciaieria di Taranto, invece, si è arrivati, dopo lunga valutazione tecnica che ha anche fatto slittare di parecchie ore la riunione del governo, a una formulazione che prevede che nei casi di aziende di rilevanza strategica nazionale sottoposti a provvedimenti cautelari da parte della magistratura, il provvedimento non impedisca la prosecuzione dell’attività d’impresa purché l’azienda presenti in termini stringenti (probabilmente 30 giorni) un piano per l’adozione di misure aggiuntive in materia ad esempio di sicurezza del lavoro, d’intesa con l’autorità giudiziaria e sotto il controllo degli organi preposti (Inail, Vigili del fuoco, Asl).

Misura, spiegano fonti ministeriali all’Ansa, che non lede in alcun modo il motivo per il quale il magistrato ha disposto il sequestro, ma che permetterà all’Ilva, nel caso specifico, di presentare istanza alla magistratura, con un piano integrativo di sicurezza, chiedendo il dissequestro dell’altoforno e la prosecuzione attività di impresa. Lo spegnimento dell’altoforno2 e quindi dell’intera fabbrica che non avrebbe potuto rimanere attiva con un solo impianto acceso (l’Afo4), almeno sulla carta appare quindi scongiurato. Sulla carta, appunto, perché in realtà le operazioni di spegnimento erano avviate da tempo e bisognerà comprendere se interromperle non possa comportare un ulteriore pericolo. La procura di Taranto, del resto, ha appena rigettato l’istanza dell’Ilva anche sulla base di questo rischio.

Ma le difficoltà non sono solo di ordine strutturale, ma anche giuridico. I legali dell’Ilva, infatti, hanno ora due possibilità: la prima è quella di chiedere un dissequestro totale alla procura. La seconda è quella di chiedere la facoltà d’uso al gip Martino Rosati. Non è quindi da escludere che la magistratura tarantina possa sollevare una nuova questione di legittimità costituzionale della norma rimettendo per la seconda volta nel giro di pochi anni il futuro dell’Ilva nella mani della Consulta.

Del resto proprio qualche giorno fa, il gip Rosati aveva confermato il sequestro d’urgenza spiegando che “l’altoforno 2 è sprovvisto dei più elementari dispositivi destinati ed idonei alla protezione della incolumità dei lavoratori, in caso di fiammate o di dispersioni di gas o solidi incandescenti” e quindi “finché non vengano realizzati e implementati detti strumenti di protezione, nonché quelli ulteriori ed eventualmente necessari per adeguare l’impianto alla migliore tecnologia disponibile, l’altoforno 2 non può essere restituito nella disponibilità dell’azienda e non può rimanere in funzione”.

In sostanza prima bisogna metterlo in sicurezza e poi può tornare in funzione. La norma invece impone, perché possano operare, una serie di condizioni alle imprese, comprese quindi Ilva e Fincantieri, che dovranno relazionare l’avvenuto rispetto delle prescrizioni. È  questo, secondo quanto spiegano fonti di governo, il senso del decreto varato dall’esecutivo. Resta comunque un grande interrogativo: se è vero l’Altoforno 2 non è sicuro, chi si assume la responsabilità di ciò che potrebbe accadere ai lavoratori?

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