Francesco Gaetano Caltagirone dovrà attendere tempi migliori per collocare in Borsa un cospicuo portafoglio di progetti di sviluppo immobiliare della Capitale. I venti della crisi greca hanno suggerito alla Domus spa, società controllata dal gruppo del costruttore-editore romano, di rimandare la quotazione allontanando anche gli incassi attesi dall’operazione. “La società si riserva di ripresentare l’offerta in un contesto di stabilità dei mercati finanziari”, si legge nella nota ufficiale che evidenzia come il progetto sia stato solo differito.

Per far cassa con gli immobili di Tor Pagnotta, Talenti, Collatina, Ponte di Nova, Prampolini, Caltagirone aveva infatti deciso di ricorrere a Piazza Affari confezionando un veicolo ad hoc, la Domus Italia spa, appunto. La società, che fa capo al gruppo attraverso Ical2 ed è presieduta dall’ex numero uno di Terna, Flavio Cattaneo, contiene immobili residenziali del fondo Seneca gestito da Fabrica Immobiliare, joint venture del gruppo Caltagirone con l’ex partecipata Mps. Si tratta, in buona sostanza di “una pluralità di immobili, tutti siti nel Comune di Roma, per un valore complessivo pari a 139,5 milioni di euro”, al netto di 56 milioni di oneri finanziari. Con questi edifici residenziali, Domus puntava a raccogliere in Borsa da 237,6 a 288 milioni di euro fra i piccoli risparmiatori (10%) e gli investitori istituzionali (90%), che sono poi gestori anche dei fondi di investimento di banche e Poste.

L’operazione avrebbe comportato un drastico ridimensionamento del peso di Caltagirone nella Domus Italia spa. Dopo il collocamento, infatti, il costruttore romano, attualmente titolare del 100% del gruppo, sarebbe dovuto scendere fino al 6 per cento circa. Con una conseguente riduzione ai minimi termini della sua influenza sulle strategie di Domus che però ha già deciso come spendere il denaro raccolto sul mercato. I proventi della quotazione “saranno utilizzati, in tutto o in parte, per il pagamento del corrispettivo previsto dai contratti preliminari di acquisto di immobili”, si legge nel prospetto. Il resto servirà a “implementare attività che permettano, nel rispetto della propria strategia, di accrescere i risultati, supportando gli obiettivi di crescita e sviluppo della società”.

Ma quali sono i progetti immobiliari in cui Domus vorrebbe entrare previo il superamento della soglia dei 200 milioni di raccolta? Il prospetto informativo ne dà conto in dettaglio spiegando che per il dopo quotazione, Domus ha previsto l’acquisto per 326 milioni, al lordo di Iva, di un “secondo portafoglio immobiliare che è costituito da “1.787 unità residenziali e 21 unità commerciali che al momento risultano in costruzione” con consegne previste nel giro massimo di un anno. Il portafoglio è di proprietà di quattro aziende: De Chirico Costedil 66, Tor Pagnotta Costedil, Finanziaria Italia e Coim 2013, tutte società che fanno capo allo stesso gruppo Caltagirone.

A conti fatti, insomma, per il costruttore romano, editore del Messaggero e del Mattino, l’operazione Domus è decisamente ambiziosa. Quello che ci vuole in questi anni di crisi quando persino la storica cassaforte, FGC, celebre in passato per essere una delle società più liquide d’Italia, accusa il colpo: il bilancio 2013, l’ultimo disponibile, si era chiuso con 41 milioni di perdite consolidate e 2 miliardi di debiti su un patrimonio da 2,8 miliardi. Caltagirone non era però il solo a gioire per il collocamento di Domus. L’operazione aveva l’aria di essere soddisfacente anche per lo sponsor banca Akros (gruppo Bpm) e al coordinatore dell’offerta, Banca Imi che – come riferisce il prospetto – sono in una situazione “di potenziale conflitto di interessi”. Nel dettaglio, Akros “e/o altre società appartenenti al gruppo bancario Bipiemme hanno prestato o potrebbero prestare in futuro servizi di lending , advisory e di investment banking in via continuativa a favore dell’emittente e/o a favore del gruppo facente capo a FGC a cui l’emittente appartiene”. Situazione ancora più complessa per Banca Imi e per altre società del gruppo Intesa che “hanno erogato finanziamenti significativi all’emittente e/o a favore del gruppo facente capo a FGC a cui l’emittente appartiene”. Il risultato? “Banca Imi sarà l’arranger, la banca agente, nonché il principale finanziatore” nell’ambito di quella che aveva assunto i contorni di “un’operazione di sistema”. Ma per sapere come l’accoglierà il mercato bisogna attendere.

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