Ha messo in piedi un’azienda da una sua idea. Oggi ha 13 dipendenti (il più giovane ha 23 anni e il più vecchio 40) e lui è l’amministratore delegato. Simone Lini, 24 anni, è un giovane self-made man italiano. In Italia. Suona strano di questi tempi, ma è la verità. Da Crema a Lambrate per creare un business da zero sul web: waynaut.com, il primo aggregatore di trasporti tradizionali e innovativi per le aziende. In pratica, l’utente accedendo al portale può pianificare il viaggio in anticipo con aereo, treno, bus (privato e pubblico), auto, car-sharing, uber, e fra poco anche traghetto.

Non è stato un gioco da ragazzi. Ci sono voluti due anni di fatica, coraggio e almeno un paio di sconfitte. Così Simone si è fatto le ossa. Dopo la laurea triennale in Bocconi infatti decide di saltare la specialistica e passare subito alla ricerca di un lavoro. “Ho fatto bene, altrimenti ora sarei ancora qui con le mani in mano”. E racconta: “In 24 mesi ho fatto quello che non avrei mai potuto fare restando sui libri”.

Non è stato facile, comunque. L’intuizione nasce piano piano. Nell’estate 2011, tra il primo e il secondo anno di università, vola nella Silicon Valley con una borsa di studio per la Mind the bridge school, un incubatore di start up. “Ho proposto una versione migliorata di city car-pooling con pagamento elettronico che mi hanno bocciato subito. Non ci sono rimasto male, avevo solo 21 anni, la media era 30, io ero il più piccolo, e avevo ancora tantissime cose da imparare”.

L’anno dopo è in Australia per uno stage di sei mesi in una internet company. Alla fine gli offrono un contratto a tempo indeterminato e 50mila euro all’anno. Ma lui rinuncia. “Volevo aprire un’attività tutta mia – spiega -. Però è stata una palestra fantastica. Là ho capito che non conta solo avere belle idee, ma anche la possibilità di svilupparle. Quindi bisogna innamorarsi meno delle idee e concentrarsi di più sugli aspetti pratici”.

Nel frattempo ha già un nuovo piano in testa, lo chiama youmove.me, si tratta di un sito web e un’app che dovrebbe consentire all’utente di organizzare tragitti usando mezzi sia pubblici che privati. Ne parla a un nuovo amico che incontra a Sidney, un ingegnere informatico di tre anni più grande e, neanche a farlo apposta, del suo stesso paese. “Abbiamo fatto un viaggio insieme nel deserto, diecimila chilometri in nove giorni, dopo aver visto un canguro abbiamo abbozzato lo scheletro del progetto”.

Simone è tornato in Italia per cercare soldi ma rimane a mani vuote. L’amico dà un aiuto a distanza. “Ora è advisor – precisa Simone – si occupa della ricerca e dello sviluppo, sempre dall’Australia”. “Nessuno mi dava credibilità, ho contattato almeno una dozzina di fondi di investimento, non si fidavano perché sono molto giovane, mi dicevano, e perché l’altro socio sta dall’altra parte del mondo”. Quattro mesi così, poi fa domanda per un posto all’interno di un fondo di investimento. “Una cosa noiosissima, ma non ne potevo più di ‘fare l’elemosina’ senza risultati”.

Simone sa che è un momento di passaggio. Forse però quando accetta non crede neanche lui di licenziarsi dopo un giorno. “Sì, tempo una settimana ed ero fuori di lì. Avevo parlato col mio capo, uno che poteva essere mio padre, insoddisfatto perché da giovane avrebbe voluto fare l’architetto e invece si era accontentato di un lavoro che non gli piaceva. Mi ha fatto tremare. Via, mi sono detto, vattene via da qui e non fare la sua fine. Per mio padre invece è stato un colpo, lui lavora in banca e avrebbe voluto vedermi fare il suo mestiere”. Simone torna a caccia di sponsor. Si accorge di un bando che scade a mezzanotte. È il “Working capital”, l’acceleratore di Telecom Italia, in palio ci sono 25mila euro per i progetti migliori. Lo vince.

Aggiunge al team due ingegneri e due designer. Nel maggio 2013 trova 50mila euro. “Finalmente un fondo di investimento che mi credeva in me, è bastato un incontro”. A questo punto sviluppano app e sito internet. Diventano una specie di agenzia viaggi online, che copra Lombardia, Lazio, Toscana, Veneto e Piemonte. L’abbonamento al servizio parte da dieci euro al mese fino a 500, in base al numero di visite. In un anno i clienti si contano sulle dite di una mano.

“E non ci pagavano. Il mondo dei viaggi è molto competitivo, era dura sopravvivere”. A maggio 2014 stanno per fallire. Devono trovare un modo per rimettersi in gioco. “La soluzione, abbiamo pensato, è trasformare i competitor in clienti”. Cambiano il nome: waynaut.com, che sta per way (strada) – astronaut (astronauta). In ufficio appendono al muro la frase di John Kennedy “We choose to go to the moon” e quella di Neil Armstrong, il primo uomo a mettere piede sulla Luna: “Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità”.

Simone: “Sì ci sembra di aver toccato la Luna anche noi”. Le difficoltà non mancano. “È dura convincere un’azienda a cambiare l’interfaccia di ricerca del suo sito web ma non è impossibile. Hanno paura di disorientare il cliente e di perderci dei soldi. Finora di contratti firmati ne abbiamo due, si tratta di pezzi grossi però. Stiamo negoziando con altre quattro imprese. Le trattative in media durano sei mesi”. Lui lavora 12 ore al giorno, dalle 9 alle 21. “Non sono ricco, quello che prendo lo investo nell’azienda. All’inizio per pagarmi l’affitto a Milano ho chiesto un fido in banca”. Ha rinunciato all’atletica ma si diverte come prima. Anzi molto di più.

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